Pigelleto

 

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Il Territorio

 

La Riserva Naturale Pigelleto, collocata a sud di Piancastagnaio, al confine con la provincia di Grosseto, si inserisce sui rilievi che congiungono il cono vulcanico del Monte Amiata con il Monte Civitella presso Castell'Azzara.

La Riserva protegge un eterogeneo comprensorio boscato, ricco di specie vegetali, tra le quali assume un particolare rilievo la presenza dell'abete bianco come specie spontanea. Pigello è infatti il nome locale dell'abete bianco e Pigelleto è il toponimo con cui nei documenti storici, a partire dal Settecento, viene indicata quella che precedentemente era la Selva Aspretuli. Le testimonianze storiche relative alla presenza dell'abete bianco in questo territorio si spingono indietro. Titio Livio scrive di boschi di abete che arrivavano nella piana grossetana, presso Roselle, sfruttati dai Romani per la fabbricazione delle loro navi.

L'abetina del Pigelleto subì un grave colpo nel corso della prima guerra mondiale, quando numerosi tagli ne diminuirono l'estensione originaria, portandola ad una decina di ettari negli anni '30.

La storia del bosco del Pigelleto, come di tutto il territorio amiatino, è stata fortemente segnata, almeno negli ultimi due secoli, dalla presenza dei giacimenti di cinabro. Questo importante minerale, fonte primaria per l'estrazione del mercurio metallico, fece del comprensorio del Monte Amiata uno dei protagonisti del mercato mondiale del mercurio, secondo solo ai ricchissimi giacimenti di Almaden in Spagna. I tre cantieri minerari, oggi abbandonati (Abetina, Siele-Carpine e Solforate) ebbero la loro sede amministrativa negli edifici della località La Direzione, divenuti oggi Centro Visite e foresteria dell'area protetta.

 

Le rocce della Riserva appartengono principalmente alla Formazione di S. Fiora (Cretaceo inferiore-Eocene medio-superiore, 140-40 milioni di anni fa), costituita da rocce sedimentarie di varia granulometria e composizione, quali arginiti, calcareniti, arenarie e calcari, che si alternano in sequenze.

All'interno della Formazione di S. Fiora assume notevole importanza, per l'estensione degli affioramenti, il Membro delle Arenarie di Monte Rufeno (conosciuto anche come arenaria Pietraforte), una roccia sedimentaria particolarmente resistente che costituisce l'ossatura dei principali rilievi della Riserva.

La parte nord-occidentale della Riserva è costituita dalla Formazione delle Argille con calcari Palombini (Cretaceo inferiore, 140-100 milioni di anni fa), formata da argille grigie che si sfaldano in piccole scagliette, dando spesso luogo, nei versanti più acclivi, a grandi accumuli. Le Argille con calcari Palombini si depositarono durante le prime fasi di chiusura dell'Oceano Ligure-Piemontese.

 

Dopo la messa in posto di queste rocce in seguito all'orogenesi appenninica, ebbe luogo l'attività magmatica del Monte Amiata (tra 287.000 e 300.000 anni fa) a cui sono legate, secondo le ipotesi più accreditate, le mineralizzazioni a cinabro. Le mineralizzazioni del Siele-Carpine e delle Solforate, situate in corrispondenza degli omonimi torrenti, erano probabilmente conosciute e sfruttate già all'epoca preistorica (come risulterebbe da alcuni utensili in pietra trovati nel corso delle lavorazioni sotterranee successive), e sicuramente in età etrusca, quando venivano coltivate le manifestazioni superficiali della mineralizzazione. Gli Etruschi utilizzavano il cinabro tale e quale, senza ricavarne cioè mercurio metallico, come colorante (minio o vermiglione di mercurio) e come cosmetico.

 

La vegetazione

 

La caratteristica principale della vegetazione del Pigelleto è senza dubbio la presenza spontanea dell'abete bianco, caso rarissimo in tutto l'Appennino e quasi unico a queste altitudini. Oltre a poche e limitate aree dell'Appennino, alcuni residui delle più estese popolazioni passate di abete bianco sono rimasti solo intorno al Monte Amiata, a quote insolitamente basse (tra 600 e 900 metri), e più precisamente nel bosco del Pigelleto e, con abetine di minore estensione, nei boschi del vicino Convento della SS. Trinità, presso S. Fiora, e al Vivo d'Orcia. Al Pigelleto l'abete bianco si inserisce all'interno di un bosco di caducifoglie che stupisce per la varietà delle specie arboree che ospita.

A queste altitudini, basse rispetto alle quote a cui cresce negli Appennini, l'abete bianco ha trovato un ambiente favorevole nei versanti esposti a nord e riparati dai venti marini, con clima sufficientemente fresco e umido ma al di sotto della zona di concorrenza del faggio, che ha il suo massimo sviluppo a quote maggiori. Nella Riserva l'abete bianco si associa a specie arboree diverse, a seconda delle condizioni climatiche locali, fino a costituire boschi di ridotte dimensioni in cui è la specie dominante. Nelle zone più fresche e umide, tipiche per esempio dei pendii rivolti a nord del crinale Poggio Pampagliano-La Roccaccia, l'abete è misto al faggio, al cerro, al carpino bianco, al carpino nero e a diverse specie di aceri, fra cui sono abbondanti l'acero montano e l'acero opalo. Caratteristica distintiva di tutte le specie di aceri, oltre alla tipica foglia palmata, è il frutto alato, dal difficile nome di schizocarpo; si tratta di una capsula fornita di due alette funzionanti da eliche che permettono all'acero di disperdere meglio i propri semi grazie al vento.

 

L'olmo montano è un'altra specie arborea presente al Pigelleto, anche se meno frequente. Sporadicamente compare il maggiociondolo. Anche il tasso fa la sua comparsa sporadica nel bosco del Pigelleto. Altra specie degna di nota è la bella donna, un arbusto della famiglia delle Solanacee divenuto ormai rarissimo a causa dell'intensa raccolta che se ne faceva a scopo medicinale; nello stesso ambiente vegeta il più comune sambuco, riconoscibile in primavera per le larghe e piatte infiorescenze bianche. In inverno si distinguono i solitari cespugli sempreverdi della laureola. Ad essa si aggiungono l'agrifoglio e i giovani alberelli di abete bianco, che ne testimoniano la rinnovazione naturale. In primavera il sottobosco si popola dei fiori di numerosissime specie; fra i ciclamini, le anemoni, le epatiche e le viole risaltano i grandi fiori arancioni del giglio rosso, una specie divenuta rara proprio a causa della sua bellezza. Sono molte anche le orchidee selvatiche, nei punti più ombrosi presenti con specie tipiche delle faggete, come Neottia nidus-avis, priva di foglie verdi, capace grazie ad una simbiosi con un fungo di trarre nutrimento dalla lettiera di foglie in decomposizione, e Epipactis helleborine , dalle larghe foglie basali. Le lunghe foglie dentellate della dentaria minore e della dentaria pennata, piante tipiche delle faggete, spuntano alla fine dell’inverno; appartiene allo stesso genere la dentaria di Kitaibel, una specie molto rara in Italia, tipica delle faggete umide alpine.

Scendendo lungo il versante gli abeti si fanno dominanti, fino a costituire la gran parte del bosco. Fra gli abeti qui si insediano anche il castagno, il carpino nero, il cerro e il ciavardello.

 

Sul versante esposto a sud, in generale, nelle situazioni più calde della Riserva, la vegetazione cambia in modo evidente, e il cerro diviene la specie dominante, mentre la presenza dell'abete è solo sporadica. L'acero opalo, il carpino nero e il carpino bianco sono frequenti accanto al cerro, ma scompaiono dove il bosco si fa più aperto e illuminato, lasciando il posto all'acero campestre e all'orniello. Nei suoli adatti, acidi, diventano frequenti insieme al cerro anche la rovere e il ciavardello.

I numerosi fossi e torrenti che scendono dai rilievi, alcuni dei quali a portata perenne, sono bordati dal carpino bianco e dal nocciolo mentre, in prossimità dei punti più larghi dell'alveo, dall'ontano e dal frassino meridionale.
Sparsi cespugli di salice colonizzano invece il letto di piena, sottoposto a frequenti arrivi di acqua e sedimenti. II bosco si interrompe per brevi tratti, in piccole radure o lungo i sentieri, lasciando il posto ad arbusteti a ginestra dei carbonai, ginepro o ginestra odorosa; questi ambienti aperti vengono colonizzati dalle specie più bisognose di luce, come la viola etrusca. Zone un tempo coltivate, ricavate in gran parte dal taglio dell'abetina in periodo di guerra, sono state riforestate successivamente con varie specie di conifere, principalmente pino nero, ma anche abete bianco e, con minori estensioni, abete rosso e larice. Purtroppo l'abete bianco utilizzato per i rimboschimenti sta rischiando di compromettere, tramite ibridazione, il patrimonio genetico dell'abete bianco indigeno.

 

La fauna

 

Gli animali della Riserva sono tutti strettamente legati all'ambiente boschivo, che ricopre la quasi totalità dell'area. La diffusa presenza di alberi ad alto fusto, piuttosto distanziati fra loro, offre buone possibilità di vedere ungulati nel sottobosco; cinghiali e caprioli, il cui avvistamento è relativamente facile nel bosco rado del Pigelleto, anche grazie al posteriore bianco candido che risalta nell'oscurità della foresta.

In prossimità di uno dei tanti piccoli ruscelli che attraversano la Riserva è stata recentemente segnalata la salamandrina dagli occhiali, presente anche nelle Riserve del comprensorio del Farma-Merse.

Il picchio verde, picchio rosso maggiore e torcicollo, martellano con il loro becco robusto il legno per localizzare la presenza di larve.
 

Una preziosa presenza nei boschi del Pigelleto e del Monte Amiata è quella dell'astore, maestoso rapace forestale di difficile avvistamento. Sono infatti molto scarsi i dati su questa specie, che è stata periodicamente avvistata nel comprensorio amiatino, anche se non si ha la certezza della sua nidificazione nell'area. Come lo sparviere, che è invece nidificante nella Riserva, l'astore caccia all'interno del bosco, grazie alle ali relativamente corte e larghe e alla lunga coda, essenziale per virare agilmente tra gli alberi. Mentre l'astore e lo sparviere rimangono sul territorio tutto l'anno, altri rapaci arrivano nella Riserva in primavera-estate, per la nidificazione, per poi ripartire verso le località di svernamento in autunno. Fra questi vi sono il falco pecchiaiolo, il nibbio bruno, il biancone e il lodolaio, tutte specie minacciate in gran parte del territorio italiano dalla mancanza di alberi abbastanza grandi da sostenere i loro nidi, spesso voluminosi.

 

I rapaci notturni, al Pigelleto rappresentati da allocco, barbagianni e civetta, oltre ad utilizzare le cavità degli alberi più grossi come rifugio, approfittano anche dei molti edifici minerari abbandonati. I grandi alberi vengono inoltre perlustrati dal rampichino, e nei boschi di faggio e abete bianco del Pigelleto nidifica il ciuffolotto, un fringillide poco comune che si ciba di semi, schiacciandoli con il becco a cuneo tipico di tutti i fringuelli. La cincia bigia è un altro passeriforme che frequenta i boschi della Riserva e che in Toscana è raro a quote così basse.

E' molto meno ricca la fauna dei rimboschimenti di conifere, tuttavia, la chioma di queste piante è a volte utilizzata da alcuni rapaci, come il biancone, per la costruzione del nido, specialmente in mancanza di alberi adatti nel bosco naturale.

I rimboschimenti sono talvolta utilizzati durante il giorno come rifugio da caprioli e daini; quest'ultima specie, introdotta in Italia in tempi storici dall'Asia minore, conta però pochi esemplari nella Riserva. Faine, istrici e tassi sono altri elusivi abitanti del bosco.

 

I mammiferi comprendono anche specie come la martora e il lupo, entrambe divenute molto rare in tutta Italia a causa del disturbo antropico e della distruzione del loro habitat, il bosco. In particolare il lupo, che a partire dagli anni '80 è ricomparso nella zona dell'Amiata con un gruppo stabile, ha rischiato l'estinzione dalla nostra penisola, dove un decennio prima erano rimasti appena 100 esemplari, rifugiati nelle aree più inaccessibili dell'Abruzzo, dell'Aspromonte  e nella Maremma tosco-laziale. Battute di caccia appositamente organizzate, stricnina e altri veleni usati nei bocconi avvelenati avevano gradualmente sterminato questo predatore, che solo dal 1979 gode della protezione della legge.

La popolazione italiana di lupo è attualmente attestata sui 400 individui, concentrati principalmente lungo la dorsale appenninica. Questo inaspettato recupero è avvenuto, oltre che per il divieto di caccia, anche grazie all'aumento degli ungulati selvatici e all'abbandono da parte dell'uomo di molte zone di montagna, con conseguente diminuzione del disturbo sul territorio.