Pietraporciana

 

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Il Territorio

 

La Riserva Naturale Pietraporciana occupa la sommità dell'omonimo poggio, situato sul crinale che, tra Chianciano Terme e Sarteano, separa la Val d'Orcia dalla Valdichiana, raccordandosi più a sud con il Monte Cetona. Poco più a occidente, alla base di questi rilievi, si estendono le Crete della Val d'Orcia e la Riserva Naturale Lucciola Bella. Il torrente Astrone, che ha le sue sorgenti nelle vicinanze, segna il confine settentrionale della Riserva.

Il Poggio di Pietraporciana è circondato da suggestive e poco conosciute emergenze storiche e architettoniche, che costituiscono anche facili punti di accesso per una passeggiata nella Riserva. Fra queste c'è il paesino di Castiglioncello sul Trinoro, piccolo borgo arroccato su un ripido crinale, da cui si gode di un immenso panorama sulla Val d'Orcia.Nella maggior parte della Riserva affiora la Formazione di S. Fiora (Cretaceo superiore, 95-65 milioni di anni fa), costituita da varie rocce sedimentarie, quali calcareniti, arenarie, calcari marnosi e argilliti. Il Membro delle Arenarie del Monte Rufeno, un'arenaria calcarea intercalata nella Formazione di S. Fiora e meglio conosciuta come Pietraforte, forma una buona parte del Poggio di Pietraporciana e tutto il crinale che lo collega all'altura di Castiglioncello sul Trinoro.

 

In corrispondenza del fosso Cavallo e del fosso della Ginestra, fino al torrente Astrone che li riceve, affiora in "finestra tettonica" la Formazione della Scaglia toscana, principalmente costituita da rocce sedimentarie risalenti al Cretaceo inferiore-Oligocene medio (140-30 milioni di anni fa).
La parte sommitale del Poggio di Pietraporciana, comprese le rupi, è costituita da una placca di biocalcarenite, i cui materiali di disgregazione vanno a ricoprire le pendici settentrionali del Poggio. Si tratta di un calcare organogeno, la cui formazione è opera cioè di organismi viventi, risalente al Pliocene inferiore (5-3,5 milioni di anni fa), che faceva parte di una piattaforma carbonatica situata ai bordi del mare pliocenico.
 

 

La vegetazione

 

L'aspetto più interessante della vegetazione della Riserva è la faggeta che si sviluppa sul ripido versante settentrionale del Poggio di Pietraporciana, fra i 750 e gli 850 m di quota, dove l'esposizione a nord e la posizione riparata dalle correnti calde, mantengono un microclima fresco e umido. Si tratta di un bellissimo esempio di faggeta relitta, un residuo cioè dei più estesi boschi di faggio che, qualche migliaio di anni fa, popolavano quote molto minori delle attuali, in conseguenza dei mutamenti climatici legati alle glaciazioni.

Durante le glaciazioni, che ebbero il loro massimo sviluppo circa 10.000 anni fa, i ghiacci ricoprirono gran parte dell'Europa e i ghiacciai alpini arrivarono a lambire la Pianura padana; questo portò a un generale sposta mento delle fasce vegetazionali montane verso quote più basse, dove si erano create condizioni a loro adatte. Le foreste di faggio "scesero" così di quota, fino a ricoprire le colline più prossime alla costa.

In provincia di Siena esistono altri esempi di faggi a bassa quota, come nelle Riserve Naturali Farma e Castelvecchio, ma solo a Pietraporciana la specie forma una vera e propria faggeta, assimilabile, per le specie che vi compaiono, alle faggete montane.

 

Sebbene il faggio sia la specie dominante, ad esso si accompagnano più o meno numerosi esemplari di cerro, carpino bianco, acero montano, acero opalo, carpino nero e ciavardello. La fitta ombra proiettata dai faggi impedisce la crescita di un folto sottobosco, per cui gli arbusti sono piuttosto radi e tipici di ambienti freschi e umidi, con nocciolo, corniolo e berretta da prete. La faggeta di Pietraporciana ospita, fra le altre, due specie arbustive particolarmente rare in tutta Italia. Oltre alla belladonna, un cespuglio con bacche blu velenose segnalato anche per la Riserva Naturale Pigelleto, cresce sotto ai faggi anche la fusaggine maggiore, parente della più diffusa berretta da prete, da cui si distingue per il frutto suddiviso in cinque lobi piuttosto che in quattro.

Gran parte delle piante erbacee che crescono nella faggeta hanno la caratteristica comune di approfittare dei primissimi mesi primaverili per portare a termine il loro ciclo riproduttivo, quando i faggi non hanno ancora le nuove foglie.

 

I primi a comparire, spesso già in febbraio, sono i candidi fiori del bucaneve; i boccioli di questa bulbosa sono rivestiti da una guaina fogliare protettiva, adattamento utile nelle faggete di montagna in cui il fusto che porta il fiore deve spesso attraversare uno strato di neve. L'anemone epatica e l'anemone nemorosa, due ranuncolacee dal fiore rispettivamente viola e bianco,  spuntano quasi contemporaneamente. Anche primule, sono fra i primi fiori ad apparire nella faggeta. Qualche tempo dopo, a partire da aprile, compaiono le numerose fioriture bianche dell'asperula.

Come l'asperula, anche la dentaria pennata è una pianta fortemente adattata all'ombra e ricopre diversi punti della faggeta. Ad esse si aggiunge il sigillo di Salomone, dal cui lungo fusto ricurvo pendono gruppi di fiori bianchi a forma di campana. Più difficilmente individuabili sono le fioriture dell'orchidea nido d'uccello, così chiamata per le radici intrecciate e superficiali tramite le quali, grazie alla simbiosi con un fungo, assorbe i materiali in decomposizione. Questa orchidea, priva di foglie e con fusto e fiori giallastri per la totale mancanza di clorofilla, è infatti una pianta saprofìta e in questo modo si è resa indipendente dalla luce del sole, così scarsa nel sottobosco delle faggete.  Infine, tra le ultime piante a fiorire nella faggeta, verso giugno, ci sono due specie divenute molto rare nei boschi italiani, quali il giglio rosso e il giglio martagone, due grandi e bellissime liliacee intensamente raccolte in passato ed oggi protette dalla legge. In particolare la presenza del giglio martagone a Pietraporciana è degna di nota, poiché questa specie, spiccatamente montana, è rarissima in provincia di Siena.

 

Al contatto con la faggeta ed in generale in tutte le esposizioni più fresche della Riserva, sopra i 600 m di quota, cresce il cerro accanto al carpino bianco, al carpino nero, all'acero opalo e a qualche sporadico faggio. Il sottobosco è molto ricco e comprende berretta da prete, pero selvatico, corniolo e biancospino. Ciclamini, primule e numerose cefalantere colorano in primavera queste cerrete, insieme ai tappeti striscianti delle fragole di bosco e della rosa dei campi.

Nei suoli originatisi dall'arenaria Pietraforte è piuttosto frequente la rovere, amante dei suoli acidi, che insieme al cerro forma il bosco ad alto fusto che ricopre il versante meridionale del Poggio di Pietraporciana.

Fra le querce crescono il ciavardello, specie tipica dei suoli acidi, e il raro tiglio selvatico, riconoscibile per le foglie cuoriformi e per le profumate infiorescenze primaverili.

Al di sotto dei 600 metri di quota, in condizioni di minore umidità, il cerro si associa alla roverella, al carpino nero, all'acero campestre e all'acero minore, quest'ultimo amante delle situazioni più soleggiate.

Le zone più pianeggianti della Riserva, in passato superfici agricole, oggi abbandonate, sono state riforestate con diverse specie di conifere (abete bianco, abete greco, cedro dell'Himalaia, cipresso, douglasia e pino nero) che ricoprono la parte sud-occidentale.

 

La fauna

 

Le specie animali più rappresentative della Riserva sono legate alla faggeta e alla cerreta, in cui il taglio ceduo è stato abbandonato ormai da più di un ventennio, permettendo lo sviluppo di molti alberi di grosso diametro e di un ambiente ricco e diversificato. Chi ne approfitta sono moltissimi animali, dai più piccoli invertebrati del suolo, che nei boschi indisturbati raggiunge spessori notevoli, ai coleotteri del legno fino agli uccelli e ai mammiferi.

Il cervo volante è fra i coleotteri, probabilmente, quello maggiormente conosciuto e ammirato; si tratta infatti del più grosso coleottero d'Europa (lungo fino a 8 cm) ed i maschi di questa specie sono dotati di vistosissime mandibole simili ai palchi di un cervo, utilizzate nei combattimenti rituali per la conquista delle femmine. Le larve impiegano ben cinque anni per compiere il loro sviluppo, a causa dello scarso potere nutritivo del legno. La larva dello scarabeo rinoceronte necessita invece di "soli" quattro anni per metamorfosare e i maschi di questa specie sono contraddistinti da un robusto corno sul capo.

Tutti questi coleotteri hanno subito un forte calo numerico e sono minacciati dalla scarsità nei boschi di alberi morti o marcescenti, spesso asportati perché considerati "inutili" alla produzione forestale.

 

Il picchio rosso maggiore e il picchio verde si sono saputi adattare benissimo a questa abbondanza di potenziale cibo vivente nei tronchi. Tambureggiando sul legno individuano la presenza delle gallerie larvali e, dopo aver forato il tronco, vi infilano la lingua, lunga e munita di piccole spine sulla punta, per tirar fuori la larva. Il tambureggiamento sui tronchi degli alberi è usato da questi uccelli anche per delimitare il proprio territorio e, naturalmente, per scavare sui tronchi più grossi il proprio nido. Il picchio verde si spinge spesso anche fuori dal bosco, nelle radure erbose, dove cerca formiche.

Nella Riserva vive anche un'altra specie di picchio, il torcicollo, che non scava buchi ma occupa quelli già esistenti. Lo sparviere è uno dei numerosi rapaci diurni nidificanti a Pietraporciana, insieme al raro biancone, al falco pecchiaiolo e al lodolaio. Al contrario di questi ultimi, lo sparviere è strettamente legato al bosco anche per la caccia delle sue prede, che cattura volando tra gli alberi.
 

Fra i mammiferi un simbolo dei boschi ben conservati è la martora, il cui habitat ideale è rappresentato dal bosco ad alto fusto, tipologia ambientale che a Pietraporciana è ancora ben rappresentato. La faina è un altro mustelide presente nella Riserva, molto simile alla martora ma, al contrario di questa, piuttosto comune in tutta la provincia, grazie al maggiore adattamento anche ad ambienti modificati dall'uomo, tanto che talvolta la si rinviene anche in prossimità dei paesi e delle case.

Gli ambienti boschivi della Riserva sono abitati anche dal topo selvatico collo giallo, meno frequente del diffusissimo topo selvatico o topo campagnolo, dal quale si distingue per il pelo chiaro del sottogola e del petto. Nel bosco si ciba di ghiande, faggiole e noccioli di frutta, rosicchiando la parte legnosa per arrivare alla polpa; spesso comunque frequenta anche le zone aperte, dove trova radici e bacche. Questo topo selvatico, insieme ad altri roditori, è una delle prede della caccia notturna di barbagianni e allocco, rapaci notturni che nella Riserva trovano rifugio nelle cavità degli alberi.

Negli anni passati fu segnalata la presenza del lupo, ma non ci sono notizie di una eventuale occupazione stabile di questa area. Sono invece frequenti il capriolo ed il cinghiale, ungulati diffusi in gran parte del territorio provinciale.

 

Negli spazi a vegetazione rada della Riserva non è difficile scorgere l'upupa, un uccello amante delle larve di formica e di altri insetti, che ricerca attivamente al suolo usando il lungo becco ricurvo. La contraddistingue la cresta di penne sul capo che si apre al momento dell'atterraggio o nelle situazioni di allarme.

Il biancone, il lodolaio e la poiana preferiscono cacciare nelle aree aperte più estese o i frequenti prati arbustati e campi incolti della Riserva, spostandosi anche nelle vicine Crete della Val d'Orcia. Anche questi rapaci utilizzano tuttavia il bosco per la loro nidificazione. In particolare il lodolaio non costruisce il proprio nido ma "ricicla" vecchi nidi di cornacchia, abitudine che in passato è costata spesso la vita a tutta la nidiata, a causa della pratica di sparare sui nidi dei corvidi per controllare il proliferare di questi uccelli.

Il falco pecchiaiolo, al contrario degli altri rapaci, sfrutta le aree aperte non per catturare piccoli mammiferi o serpenti ma per ricercare al suolo nidi sotterranei di imenotteri sociali come vespe, bombi e api selvatiche.

 

Gli ambienti umidi della Riserva sono il torrente Astrone e i suoi affluenti, in cui vivono il vairone, la rovella e in minor misura, il barbo appenninico e il cavedano comune. Anche il granchio di fiume è rinvenibile in questo torrente. Ottimi sostituti di pozze e raccolte d'acqua naturali sono i fontanili che spesso accompagnano i vecchi poderi della Riserva. Queste raccolte d'acqua artificiali si rivelano molto preziose per gli anfibi, che in primavera vi si raccolgono a deporre le uova. Per tutta l'estate ad esempio il piccolo fontanile adiacente al podere Pietraporciana è colonizzato da larve e giovani di tritone crestato, che si preparano a compiere la metamorfosi che li renderà adulti e pronti a lasciare l'acqua fino alla successiva stagione riproduttiva.