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Da Montalcino è possibile ammirare con un solo sguardo una grossa parte della Provincia di Siena. Ecco, analizzato da Giorgio Batini, il composito panorama che da quassù si gode:

"Una volta raggiunta la vetta del colle, e guardandosi intorno si dominano le valli dell'Orcia, dell'Arbia e dell'Ombrone, si resta affascinati davanti al mare ondulato delle crete senesi, allo spettacolo di una campagna asciutta, severa, con gli erosi calanchi, i cipressi che fanno compagnia a solitarie case coloniche.

Si scorgono - vicini, lontani, anche lontanissimi - e sempre in vetta ai colli, turriti castelli, borghi monocolori, antichi e illustri centri di vita.

Improvvise oasi di verde interrompono terreni aridi che sembrano fossili.
All'orizzonte, i contorni di alte montagne.
Uno spettacolo unico, indimenticabile".

 

                                                                                       

 

 
     
 

 

La "favola bella" del Brunello - per cui poco sarebbe un libro, figuriamoci una pagina web - è la storia di un toscano ostinato e lungimirante. E' la vicenda di un antico borgo che deve al suo vino, di fama mondiale, il rango di cittadella del sapere vitivinicolo e l'ufficio di laboratorio della sperimentazione enologica, in cui brillano agguerrite signore - o meglio "prime donne" - capitanate da Donatella Colombini Cinelli.
All'aura di Montalcino quale scrigno di delizie contribuiscono: a cominciare dall'ottimo miele, profumato di rare essenze, che rivaleggia in qualità con il sopraffino olio della Plaga, grazie al quale condire diviene un'arte.
Ma torniamo alla nostra storia: il protagonista è Ferruccio Biondi Santi, "gentleman farmer" ottocentesco, emulo di Bettino Ricasoli nel ruolo di innovatore agricolo, ma agli antipodi, per così dire, dal punto di vista vitivinicolo: mentre il "Barone di Brolio" fondava la storica ossatura del Chianti su una miscela d'uve rosse e bianche, l'altro fidando nella terra e nel clima di Montalcino, forte anche dell'esperienza del nonno, Clemente Santi, scommetteva sulla vinificazione in purezza, affidando al solo Sangiovese - o meglio a un suo clone attentamente selezionato, il Sangiovese grosso - le speranze di ottenere un vino superiore, longevo e "assoluto".
Ed ebbe ragione: a suo figlio Tancredi toccò il compito di tipizzare il Brunello, gettando le basi del futuro disciplinare, e lanciarlo sul mercato, ottenendo in pochi decenni, malgrado la produzione contenuta, positivi riscontri commerciali e invidiati riconoscimenti internazionali, sino a farne - oltre che un eletto piacere per i sensi - un patrimonio fra i più importanti della Toscana.

 

Il successo del Brunello, vino d'autore che sovvertiva i canoni della vinivicultura nostrana, ha avuto non poco peso nell'aprire la strada al conio di vini di altissima qualità i cosiddetti "supertuscans", che sul Sangiovese, con l'immissione di vitigni internazionali quali il Cabernet e Merlot, hanno fondato una nuova identità vinicola della Toscana, facendone la culla ideale dei vitigni a bacca rossa. Il Brunello, primo vino italiano a ottenere la Docg nel 1980, prodotto da un ristretto numero di aziende nel solo territorio di Montalcino, è universalmente tenuto per uno dei migliori vini al mondo, grazie anche alla lunga maturazione in botti di rovere: almeno 4 anni, che salgono a 5 per la riserva (titolo alcolometrico : fra 12,5 e 13,5 gradi).
Il colore, rosso rubino intenso, tende al granato con l'affinamento: il "bouquet", etereo, caratteristico e intenso, è d'eccezionale eleganza; il sapore è asciutto, caldo, giustamente tannico, robusto ma armonico e persistente. La temperatura di servizio oscilla tra 18 e 20 °C: invece che di abbinamento gastronomico, sarebbe giusto parlare di piatti - come arrosti di carni rosse e selvaggina, nonché formaggi stagionati di pregio - all'altezza di cotanto nettare, capace di far impallidire rinomate etichette piemontesi e blasonati "Châteaux" francesi; e giustamente gli esperti sottraggono le riserve di alcune ineffabili annate alla categoria dei vini da pasto per assegnarle ai vini da meditazione, da centellinare in totale raccoglimento.
Il Brunello è uno dei vini più longevi al mondo (nelle cantine di Biondi Santi si conservano bottiglie datate 1888!) invece di deperire, col passare degli anni si evolve in incomparabile armonia, esprimendo profumi e sapori straordinari.

Le bottiglie di alcune annate eccezionali, che acquisiscono valore col passare del tempo, rappresentano veri e propri investimenti, al pari di quadri, gioielli e tappeti: ciò grazie anche alla ricolmatura, operazione finalizzata a prolungare la vita del vino di grandi vendemmie, consistente nel "ricolmare" con vino della stessa annata e ritappare le bottiglie di vecchie riserve, di proprietà della clientela, che abbiano superato un severo esame relativo alle condizioni del tappo e alle caratteristiche organolettiche del vino.

 

La denominazione "Rosso di Montalcino Doc" (risalente al 1983) designa vini nati dalle stesse terre e dalle stesse uve del Brunello, ma messi in commercio nell'annata successiva alla vendemmia, senza subire lo stesso invecchiamento.

Il colore è rubino intenso, l'odore caratteristico, il sapore asciutto, generoso e un poco tannico.

Vini di gran corpo (12°) da tutto pasto, accompagnano a temperatura ambiente primi piatti con sugo, pollame, arrosti e formaggio pecorino. Infine, la terra benedetta del Brunello ha linfa per nutrire anche le uve del Moscadello di Montalcino Doc (la denominazione risale al 1984): raro e aristocratico vino da dessert, fine pasto e meditazione, è fatto di Moscato bianco, cui possono affiancarsi altri vitigni a bacca bianca sino al 15 per cento, nelle tipologie "Tranquillo", "Frizzante" (con presa di spuma a fermentazione naturale) e "Vendemmia tardiva" (affinato per un anno almeno).
Niente di meglio, dopo un lauto pranzo innaffiato di splendidi rossi, che gustare una stilla di Moscadello con i "rustici" di Montalcino, gialli biscottini rettangolari di pasta frolla e mandorle fatti a mano, profumati di limone, nella cui composizione non manca il buon miele locale: lo stesso accade per la mandorlata, candida e morbida pagnotta di mandorle e canditi impastati con zucchero e farina.
 

 
 

 

La "Sagra del Tordo"

Famosa a Montalcino, è la "Sagra del Tordo", che si tiene nell'ultima domenica di ottobre. Le origini di questa sagra si fanno risalire addirittura ad epoca romana. Vuole infatti la tradizione che proprio qui, a Montalcino, Caio Mecenate, amico consigliere dell'imperatore Augusto, si mettesse in affari, facendo incetta di tordi ed inviandoli, a prezzi salatissimi, nella capitale. Ma Caio Mecenate era anche un festaiolo, e così nel mese di ottobre - nel mese cioè più propizio ai suoi affari - organizzava feste che dovettero essere coloratissime, proprio come la "Sagra del Tordo" dei giorni nostri: ed ecco, appunto, "Brunello e Tordi", un nettare che si adatta alla saporita cucina del luogo, ai pici, agli arrosti, e soprattutto alla selvaggina, un tempo abbondantissima nei boschi che circondano il paese.

Tradizionale appuntamento per la caccia, sulla falsariga della cacce medievali, la Sagra del Tordo, un uccello migratore di passo nella zona, è l'occasione per una rievocazione storica che con il torneo di apertura delle cacce rappresenta una festa vissuta tuttora dagli ilcinesi con grande fierezza; in tale occasione si sfidano gli arcieri dei quartieri Borghetto, Pianello, Ruga e Travaglio.