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Tra una guerra e l'altra, tra una pace e l'altra tra una vittoria o una sconfitta dei guelfi o dei ghibellini, fiorentini e senesi non smisero mai di "murare" nel Chianti.

Un antico cronista racconta per esempio che non c'era fiorentino "popolano o grande" che non avesse murato qualcosa nel contado, e che non avesse speso un po' di fiorini per costruire case "molto meglio che in città", e infatti lo stesso cronista riteneva che nella campagna dei dintorni ci fossero "ricchi e nobili abituri come due Firenze non arebbono tanti". E un altro testimone dell'epoca racconta che i fiorentini non davano pace alla terra, spiegando che "non è un palmo di terreno d'attorno che sia otioso".

Il Chianti non era davvero "otioso". Era, anzi, muratissimo. Di castelli, ed anche di pievi romaniche, di abbazie vallombrosane, di borghi e di mercatali, e quindi di case "da signore", di ville, di case coloniche. Che da prima furono costruite in base ai semplici canoni dell'architettura spontanea, e poi secondo quelli più tardi dell'architettura granducale, con le logge e l'immancabile torrino bucherellato, vale a dire la colombaia. Fu tutto questo "murare", fu tutto questo arredare la terra di pietre, di mattoni, di tegole, d'intonaci, a lasciare nel Chianti il segno di un continuo governo urbano del territorio, a fare del Chianti una "terra abitata", una campagna concepita come proiezione della città, come una periferia residenziale di Firenze e di Siena.
Si aggiunga l'amore e l'innata maestria con i quali i contadini toscani piantarono vigne e bellezza, seminarono grano e cultura, dettero ordine e armonia alla terra, disciplinando la natura, conferendo sfumature civiche ai poggi, ai boschi, ai poderi, ai campetti, ai terrazzamenti, ai borri, alla trama dei sentieri.

Si aggiunga la sapienza e l'arte con le quali i contadini seppero accostare i diversi elementi delle coltivazioni promiscue che furono tipiche dell'agricoltura mezzadrile, seppero accogliere le modifiche imposte dalla meccanizzazione e dalla nuova sistemazione dei vigneti, e seppero distribuire sull'immenso affresco collinare i colori della vite e dell'olivo, i verdi teneri dei prati e dei medicai, quelli più intensi delle superstiti pinete, quelli più gravi e solenni dei cipressi, quelli più sporchi dei boschi cedui, le manciate gialle delle ginestre, le distese dorate dei grani e delle stoppie, i grigi, i bruni, i toni ocra e marroni dei fazzoletti di terra lavorata, i toni galestrosi e sassosi dei muretti, le chiazzate color lavanda dei giaggioli. All'ordinato disordine di certe coltivazioni ancora promiscue - quasi greggi a pascolo sulle groppe dei colli - si alternano le nuove vigne che conferiscono una nuova e diversa bellezza alla terra chiantigiana con le loro scacchiere, le loro geometrie verdi.

Il fascino di questi luoghi è innegabile, la colline vitate e olivate si sovrappongono come quinte alla sguardo, i boschi, come un tempo, coprono ancora oggi le campagne e le dimore dei signori.

In uno di questi cucuzzoli se ne sta Volpaia , da sempre borgo e castello e terra di frontiera, che nel Medioevo separava Firenze da Siena. Qui lo scorrere del tempo è lento. Il fare, il vivere, è poesia e tutto intorno è bellezza.

Volpaia nasce come castello, probabilmente dal decimo secolo come dipendenza, insieme alla vicina pieve di Santa Maria Novella, della "judicaria florentina" anche se risulta compreso nel territorio di Firenze solo a partire dalla seconda metà del XII secolo, come risulta dai primi regolamenti di confine tra la repubblica senese e quella fiorentina. Il castello viene menzionato per la prima volta in un documento redatto a Cintoia nel 1172 e riguarda un'ipoteca su dei possedimenti in "curte et castello de Vulpaio". Nel 1250 Firenze suddivide il proprio territorio in giurisdizioni dette "Leghe", Volpaia venne a trovarsi compresa nella "Lega del Chianti", tra i popoli del "Terzo" di Radda.

Il piccolo insediamento risulta meravigliosamente intatto, senza strutture di recente edificazione, conservando così la struttura urbanistica medioevale del 1100. Le strutture dell'antico castello, nato ai confini tra Siena e Firenze sono oggi dedicate interamente alla produzione vinicola. Anche il paesaggio circostante, tra i più belli e affascinanti della regione, fatto da vigneti dalle perfette geometrie intercalati da fitti boschi ci parla di un territorio un vocato all'enologia che nel chianti è sinonimo di qualità ed eccellenza.

Tutto il paese è coinvolto nella magia della produzione viti-olivicola. In questo borgo impregnato di storia e tradizione, la prima veduta per chi entra dalle mura sulla piazza principale, non può che essere la locanda che funge da baluardo: la vineria Bar-Ucci, gestita da una volpaiese Doc, Paola Barucci, che qui vive da sempre con la sua famiglia. Qui, chi si ferma per desinare, assapora la tradizione contadina del mangiare toscano, così prezioso, che parla all'intelletto e allo spirito.
Il paesaggio del Chianti piace agli italiani, piace agli stranieri, piace subito, piace a tutti.
Piace perché si tratta di un paesaggio raro, forse unico al mondo, e cioè di un paesaggio agricolo, campestre, ma anche urbano, quasi una terza città tra Firenze e Siena. E una terra coltivata e colta, è una terra nella quale la natura convive insieme all'arte e alla storia, alla civiltà e al costume dell'uomo, è una terra nella quale i toscani hanno seminato la loro anima.

 

 
 

 

 
 

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