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    Petroio    
 

 

Petroio, borgo molto pittoresco, appare da lontano con il suo castello arroccato su di un colle a forma conica. Le origini di questo piccolo centro risalgono, secondo la tradizione, agli Etruschi che avrebbero fondato una lucumonia a Città Donica o Fonte Donica in prossimità del fiume Trove, nome anch'esso etrusco. Pare che gli Etruschi si fossero stabiliti in questi luoghi poiché il Trove era particolarmente pescoso; questa loro presenza ci è testimoniata dal ritrovamento di vari resti, da notizie storiche e dalla stessa arte della terracotta, che si è tramandata, attraverso i secoli, fino ai giorni nostri ed ha reso famoso il nome di Petroio. Nel 1500 Petroio viene elevato al rango di Comune e tale rimane fino al 1777. L'attuale chiesa parrocchiale dei S.S. Pietro e Paolo fu edificata nel 1885, al lato della vecchia chiesa distrutta risalente al 1300. Essa è stata da poco restaurata e conserva una pregevole tavola raffigurante la Madonna col Bambino di Taddeo di Bartolo.
Petroio è anche la patria di Bartolomeo Garosi detto "Brandano", la cui statua di terracotta è posta nella piazza principale ad emblema del paese. Brandano fu un personaggio singolare e lo ritroviamo spesso nelle pagine di storia senese. Visse dal 1486 al 1554 e amò definirsi il "pazzo di Cristo". Uomo violento e bestemmiatore, Brandano si convertì e, abbandonato il lavoro e la famiglia, si dette a predicare la religione e la morale con gran fervore, minacciando la dannazione e punizioni anche in questa vita per gli arroganti e corrotti potenti del tempo. Di lui si trovano interessanti documenti biografici nella biblioteca degli Intronati a Siena.

La tradizione orale vuole che la lavorazione della terracotta a Petroio risalga addirittura agli Etruschi, e a convalidare questa ipotesi sono stati trovati resti e frammenti in un sito posto nella valle del torrente Trove e all'interno del paese.
Comunque, senza tornare tanto indietro nel tempo, sappiamo che questa attività artigianale è dovuta particolarmente alla bontà dell'argilla che si trova nelle vicinanze del paese. D'altra parte il territorio, in questa zona, ha sempre fornito materia prima per lo sfruttamento artigianale o industriale.
L'arte della lavorazione artigianale della terracotta, a Pertroio risulta già documentata a partire dal 1500 e ancor oggi si tramanda di padre in figlio.
I primi documenti, che attestano l'attività delle fabbriche che operano tuttora, risalgono alla fine del 1600. In questi tempi il lavoro veniva svolto in paese; i laboratori, secondo la consuetudine medievale, erano all'interno delle mura. Uno, di proprietà Marrangoni, era nella Piazzola (P.za Buozzi); un altro, di proprietà Nenzi, si trovava nella salita Piave (attuale forno); mentre la fabbrica di Benocci Leopoldo si trovava al "Sucinino" dove tuttora è in piena attività; un ultimo laboratorio era situato nella "Salita della Compagnia" e ne era proprietario Giuseppe Benocci detto "il Pacchio".
Anticamente la bottega artigiana era a conduzione familiare ed arrivava ad impegnare nel lavoro circa sei o sette persone; e va detto che fino a qualche tempo fa, esistevano diversi lavoratori a domicilio, che dopo aver realizzato in casa il manufatto, lo portavano a cuocere al forno, integrando così il bilancio familiare.
Fino a quando l'approvvigionamento delle argille fu effettuato dai barrocciai, che potevano entrare agevolmente all'interno delle strette strade del borgo, non si sentì l'esigenza di spostare i laboratori fuori delle mura. Per essere facilmente raggiunte dagli autocarri, ormai indispensabili all'aumentata mole sia delle materie prime in entrata sia dei manufatti in uscita, nell'immediato dopoguerra le fabbriche si trasferirono in località Madonnino dei Monti. A questo trasferimento contribuì anche l'impellente esigenza di poter disporre di una struttura produttiva più ampia e più razionale con caratteristiche di tipo industriale: macchinari, viabilità, allacciamenti energetici ed idrici, ampi piazzali per il collocamento, lo stoccaggio e l'imballaggio dei prodotti finiti.
Ciascuna fabbrica lavora attualmente, ogni settimana, circa tre camion di argilla che viene perlopiù prelevata dalle cave di Abbadia Sicilie: tuttavia il biscotto, necessario per gli ziri smaltati, proviene da nuove cave esterne, poiché occorrerebbe, per avere materiale con le stesse caratteristiche di quello antico, scavare nelle vecchie cave ad una profondità di 15-20 metri e questo inciderebbe molto sul prezzo del prodotto. Un tempo gli ziri da olio, grazie alla particolare proprietà impermeabile dell'argilla rossa, venivano cotti e smaltati con ossidi di piombo in un unica operazione (monocottura); successivamente, modificati la qualità dell'argilla ed il composto idoneo alla vetrificazione, secondo più rigorose norme alimentari, diventò necessario cuocere gli ziri due volte: la prima per cuocere propriamente la terra, la seconda per vetrificarla.

Accanto a questi tradizionali contenitori da olio, si realizzarono altri "pezzi" a tornio o a stampo successivamente vetrificati: bricchi, catinelle lavamano, scolapasta e scolabicchieri, conche da bucato, scaldini, tubazioni per lo scarico dell'acqua ecc..