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La Pieve di San Pietro ad Mensulas lungo la via Consolare Cassia

La Tabula Peutingeriana, tra le mansiones del tratto iniziale dell'importante diramazione per Siena della via Cassia Adrianea, indica il toponimo Ad Mensulas, nel quale è da riconoscere l'attuale località "Pieve di Sinalunga".

Ancora nel Medioevo, in un privilegio di Federico II, del 1220, che si riferisce allo scomparso castello de "La Ripa", che sorgeva nei pressi della pieve, si parla di un "castrum de Ripis, quod antiquitus dicebatur Mensolis". La mansio della strada romana, il cui toponimo ricorda i brevi ripiani (mensulae) su uno dei quali poi si formerà il Castello di Sinalunga, doveva trovarsi, più esattamente, ove oggi è il Cimitero di San Niccolò, luogo che nel Medioevo ospitò la chiesetta di "Sancti Nicolai de Ripis".

Per quanto riguarda l'antica chiesa plebana, la Pieve di San Pietro ad Mensulas, il documento più antico è, (come detto sopra) la "Tabula Peutingeriana", una copia medioevale di una mappa dell'impero Romano sulla cui attribuzione e data gli storici sono quanto mai in disaccordo: a secondo delle tesi viene datata tra il 300 ed il 400 d.C.. La mappa è, all'uso romano, un rotolo di pergamena lungo circa sei metri e mezzo e largo 35 cm. Attualmente, a causa dell'usura del tempo, è diviso in due pezzi. La "Tabula" prende il nome da colui che la rese, per così dire, pubblica: un certo Konrad Peutinger, segretario comunale di Augsburg, che, nel 1508, la ricevette in eredità dall'umanista Konrad Celtes.

Il particolare della mappa, compreso tra Chiusi e Siena, riporta i tratti delle strade, il nome delle città e anche il disegno di un castello; il nome delle "mansio" (una sorta di stazioni di posta per i viandanti dove era possibile alloggiare e rifocillarsi), e le distanze espresse in miglia romane. Ciò che è subito evidente è la disposizione poco geografica, per non dire a caso, delle città, fiumi, ecc.. Il fatto è che la carta non fa uso dei punti cardinali, ma non per questo è da considerare imprecisa: le distanze sono rigorosamente esatte, e le indicazioni semplici degli incroci consentivano, in modo schematico, di scegliere semplicemente tra destra e sinistra; i fiumi e i monti erano perfettamente indicati: tanto bastava al viandante.

La strada che arrivando da Roma attraversa Chiusi e si porta poi in direzione di Siena, è la via Consolare Cassia che prende il nome, secondo alcuni storici, da Lucio Cassio Ravilla censore di Roma nel 220 a.C. che avrebbe fatto raccordare vari tratti di strada etruschi lastricandoli. Successivamente, Traiano, nel 108 a.C. provvide a renderla più moderna ed agevole, facendola diventare una delle strade più importanti della romanità.

Prendendo come punto di riferimento la città di Chiusi, la prima "mansio" che si incontra - in direzione Siena - dopo 9 miglia romane (13,302 km) è "ad Novas". La presenza, a questa distanza, di una chiesa paleocristiana (S. Vittorino) e vari ritrovamenti archeologici, fanno ritenere praticamente certa l'ubicazione della "mansio" nei pressi dell'attuale Acquaviva.

Ad Acquaviva la Cassia si diramava in tre direzioni: quella di destra, costeggiando le colline di Cortona, raggiungeva Arezzo per poi collegarsi con la diramazione centrale presso "l'Umbro Flumen" nella zona dell'attuale Ambra; quella di sinistra, costeggiando le colline senesi si dirigeva verso Siena.

Dopo la "mansio ad Novas", a 8 miglia romane (11,824 km), la Cassia arrivava alla "mansio Manliana" nei pressi dell'attuale stazione ferroviaria di Torrita di Siena, ai piedi di quello che oggi viene chiamato Poggio a Magliano. Dalla "mansio Manliana" proseguiva rettilinea attraversando il centro del podere La Fratta - anticamente questo tratto di strada veniva chiamato "la via di Roma" - e proseguendo per via della Selce (le strade romane erano selciate) giungeva alla "mansio ad Mensulas" a Pieve di Sinalunga. Da qui, la via Cassia, proseguiva per la piana di Scrofiano raggiungendo Siena.

 

La Pieve

La tradizione popolare vuole la Pieve di San Pietro ad Mensulas tra le sette fondate nel IV secolo d.C. da San Donato vescovo  e recenti studi sembrerebbero convalidarla. Il primo documento relativo alla chiesa risale al 715, e si tratta di una definizione di confini nei quali è citata la "Sancta Mater Ecclesia in Mensolas". Molti sono i documenti che, successivamente, citano la pieve di San Pietro ad Mensulas, sia pure con varianti: "Mensule, Missula, Misule, Mensulam. A partire dall'anno Mille si inizia a trovare la dedica della pieve a San Pietro ma, anche in questo caso, con diciture diverse: "Plebs S. Petri ad Mensulam", "Plebs S. Petri scito Misule", "Plebs S. Petri ad Mensule".
Varie sono le interpretazioni dell'origine del nome: secondo alcuni sarebbe derivato dal fatto che la pieve era sorta in un luogo cimiteriale nel quale, quindi, numerose dovevano essere le tavole di pietra che i romani mettevano sopra le tombe con la duplice funzione di servire da are su cui collocare i sacrifici agli Dei Mani e da mense su cui imbandire la tavola per il nutrimento dei morti. Secondo altri, e tra questi il sinalunghese Don Alfredo Maroni, il nome deriverebbe dalla conformazione del terreno a forma di gradoni, che si trova tra la pieve ed il poggio di San Niccolò su cui si erigeva il castrum romano, per i quali venne usato lo stesso vocabolo con cui in lingua spagnola si designano gli altipiani di superficie ristretta: "mesas" o "mesetas". (
A. Maroni: Prime comunità cristiane e strade romane nei territori dì Arezzo, Siena, Chiusi - Siena 1973).

Anche sull'origine della chiesa le ipotesi sono diverse: «...detta pieve per l'antichità sua, mostra essere stata un tempio già dedicato ai falsi dèi per le gran pietre che incise si leggono ed una ve n'è murata accanto alla porta principale con queste parole: "P.FAN.ARUS.PUB", interpretata "Publio Faulo Aruspici Pubblico"... » (G. Gori: Storia di Chiusi - copia manoscritta da M. Cimili - Arch. Comunale di Sinalunga).

«Antica chiesa che fatta fabbricare dagli idolatri, nel IV secolo fu benedetta e ridotta al culto divino da S. Donato vescovo di Arezzo. Tradizione questa riferita anche da un'epigrafe del 1737 collocata nella parete di fondo della pieve: "Templum hoc sub titulo S. Petri de Arentulo quodque ex inveterata incolarum traditione una ex septem plebibus S. Donati nuncupatur..."» (F. Grazi: Memorie storiche - manoscritto - Arch. Comunale di Sinalunga)

Probabilmente, e più semplicemente, la pieve sorse nelle immediate vicinanze, se non all'interno dell'area cimiteriale di una facoltosa famiglia romana del luogo: gli Umbrici. Ne è prova sicura la stele funeraria dedicata a Caio Umbricio dal figlio Lucio Clemente, ritrovata davanti alla facciata della chiesa nel 1750 circa. La parte antistante l'ingresso principale fu utilizzata come cimitero fino al 1581, anno in cui fu sconsacrato.

Per la costruzione della chiesa furono utilizzati materiali vari provenienti da edifici romani preesistenti. Era questa una pratica largamente diffusa nella costruzione degli edifici in genere e delle pievi in particolare e prova ne sono le varie pietre, murate in zone diverse, con segni e scritte. Alcune sono state perse nel corso dei vari restauri, altre non sono state identificate per difficoltà varie ed altre ancora sono tutt'ora perfettamente visibili.

Verso la fine dell'Ottocento il pievano di allora, Don Luigi Frullini, promosse una campagna di scavi che portò alla scoperta di numerosi reperti etrusco romani nell'area attigua alla pieve e nella zona circostante.

 

Nel 1935 la pieve di San Pietro ad Mensulas subì un'opera di profondo restauro: il pavimento fu rialzato di quasi un metro ed il tetto, a capanna semplice, fu modificato in una copertura composta: capanna e a doppio leggio che mette in grande evidenza la struttura interna a tre navate. Non ci sono documenti o disegni che ci potrebbero permettere il confronto tra vecchio e nuovo, esistono soltanto delle vecchie fotografie panoramiche, scattate all'inizio del secolo, che ci permettono, anche se grosso modo, di cogliere le differenze con la struttura attuale. La cosa che più salta agli occhi è la forma diversa del tetto.

Altri elementi modificati, tutti nel frontale della chiesa, sono la lunetta sopra il portale d'ingresso, le due piccole monofore aperte in forma simmetrica ai lati dello stesso portone e la finestra a bifora al posto della vecchia a forma quadrangolare.

Non si hanno notizie dettagliate per quanto concerne i rifacimenti all'interno, salvo il rialzamento già accennato del pavimento, ma si ha ragione di ritenere che, non furono eseguite opere tali da stravolgerlo, tanto che possiamo considerare pressoché immutata la struttura generale della chiesa che si presenta a pianta basilicale, con tre navate divise da una successione di cinque archeggiature, per parte, nascenti da pilastri a forma quadrangolare, che si concludono con una sola abside a forma rettangolare. La navata centrale presenta una notevole sopraelevazione nei confronti delle navatelle laterali. La copertura è con legname a vista. Le finestre piccole, e chiuse da vetrate policrome. La chiesa conserva, inoltre, un affresco raffigurante la Madonna col Bambino e Santi e due tele di artisti senesi.

 

 

 

 

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