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La storia di un territorio non si legge soltanto nei documenti e nei reperti archeologici, ma si rivive anche nelle manifestazioni con le quali le comunità evocano la memoria di grandi avvenimenti, di antiche glorie, di modi di vita e di comportamenti.

Se Murlo e Chiusi si richiamano al misterioso mondo degli Etruschi, se il Medioevo e il Rinascimento rivivono nelle gare degli arcieri e degli sbandieratori di San Quirico d'Orcia, di Montalcino e di San Gimignano e nella Giostra del Saracino di Sarteano, in tutti i centri comunali e nei piccoli villaggi costante è il richiamo alla memoria della cultura contadina che i cambiamenti storici e sociali hanno travolto ma non cancellato.

Cultura in senso proprio rivive nel Bruscello di Montepulciano accanto alle prove di abilità e di forza del Bravìo delle Botti e nelle rappresentazioni del Teatro Povero di Monticchiello.
Riti propiziatori rivivono nei "sega la vecchia" e nella Festa delle Rocche di Guazzino (Sinalunga); la gastronomia ripropone immutate le ricette tipiche di questa terra, i grandi vini, i tartufi bianchi delle Crete, l'olio e il miele di Montalcino.
Le manifestazioni fieristiche ripropongono i manufatti di botteghe artigiane nella lavorazione del cuoio e del legno. L'industria di Colle Val d'Elsa ha conquistato un mercato mondiale del prezioso cristallo: soltanto qui si trovano pezzi unici dei "Maestri" che conservano e tramandano i segreti della manualità di un'arte scultorea.
L'apertura delle cacce è a Montalcino una rievocazione storica come lo è quella che ogni anno riporta gli "esuli" dell'ultima Repubblica di Siena a ripercorrere a piedi la via che li portò all'ultima resistenza a Montalcino. Lo sport più antico del territorio senese è vivo e sentito nella "Palla eh!" di Ciciano (Chiusdino).
Passato e presente si uniscono nel segno della continuità e proprio perché ogni comunità rinnova per se stessa il rito della memoria, infiniti sono i richiami per i visitatori.
Qui il tempo non ha importanza. Sei libero. Sei in vacanza. Sei in terra di Siena. Sbagliare strada è una fortuna.

 

Carla Caselli
 

 


 

Come il paesaggio, così la cucina contadina toscana e senese è legata a una forte connessione con l'ambiente, con le possibilità della terra. E una cucina povera di elementi carnei, basata su elementi semplici e comuni, ma sperimentati localmente fino a produrre una certa varietà di forme e di gusti. La base di questa cucina sono i farinacei e i prodotti dell'orto, quindi il maiale, che è la vera base carnea delle diete contadine, e infine gli animali della corte (galline, oche, conigli, anatre).

Alcuni proverbi sintetizzano l'esperienza della sopravvivenza alimentare: "Chi ha buon orto ha buon porco", "Chi non ha orto e non ammazza porco tutto l'anno sta a muso torto".

Così i modi di dire "I fagioli sono la carne dei contadini", oppure per dire che in tavola c'era solo il primo piatto, dando invece l'idea di un contorno "Oggi c'è minestra e rizzati".

O ancora "all'osso dalli addosso" considerato il valore alimentare e il riuso dell'osso del prosciutto.

Per indicare il menù si dicevano le quattro P:"pulenda, panizza e pane poco", o "zuppa zuppa e vin del pozzo".

In effetti anche il vino si beveva normalmente come 'acquarello', cioè acqua ripassata nel già spremuto, e il vino buono si serbava per i matrimoni e le trebbiature.

Il maiale ucciso e accomodato in inverno (tra novembre e gennaio) accompagnava con i suoi prodotti tutto l'anno contadino, con il maturare progressivo delle sue parti seccate scandiva l'anno (la soppressata prima, poi il rigatino, i salami e via via fino ai prosciutti).
Già l'inchiesta agraria della seconda metà dell'Ottocento indicava la prevalenza nelle diete contadine delle zuppe di verdura e la rarità o la poca quantità delle carni (in famiglia potevano esserci a seconda delle zone e della fase di sviluppo familiare dalle 5 alle 30 persone).

Ma i contadini hanno fatto prodotti prelibati delle minestre di cavolo nero e di quelle di pane. Tanto che oggi si ritorna ovunque a citazioni della cucina contadina e piatti poverissimi come "l'acqua cotta", la "pappa col pomodoro" e le varie zuppe di pane, o la minestra col cavolo nero e il pane raffermo (la 'ribollita' è una minestra divenuta quasi simbolo della cucina contadina senese). Così i 'pici', pasta lunga povera, fatta in casa, sono divenuti il più tipico dei piatti di pasta asciutta della cucina del territorio meridionale della provincia.
Anche piatti particolari come il brodo del 'locio' (oca) o il collo del 'locio' ripieno, piatti ad alto contenuto di grassi abbastanza presenti nei pranzi di trebbiatura, si vedono tornare nelle feste estive.
Le sagre soprattutto, benché siano feste del cibo, accompagnate da divertimenti, mercatino con bancarelle e possibilità di acquisto dei cibi, riprendono alcuni aspetti della cucina povera, facendo da sponda per una memoria del passato contadino priva di nostalgia, ma che dà anche il senso della continuità tra ieri e oggi.
Da aprile a dicembre si susseguono sagre legate ai cibi:
aprile: cinghiale;
maggio: pici, tagliatelle;
giugno: panella, ciaffagnone (frittelle di farina), ranocchia, pecorino, sagra 'della miseria';

luglio: fragoline;
agosto: cocomero, maiale, raviolo, ciaccino, crostini;

settembre: bruschettà, miele, cacio, uva, dolci;

ottobre: castagne, galletto, fungo, marrone;

novembre: tartufo;

dicembre: olio.
Non sono tutte le sagre, ma quelle attestate nell'anno 1995: le sagre nascono con grande velocità e l'imbarazzo solo del nome, ma quelle qui attestate mostrano una certa continuità con i menù contadini, legati alle risorse locali, e soprattutto ai menù festivi (nel menù contadino era raro il latte, la carne vaccina, il formaggio, che erano cose tenute o per la vendita o per l'allevamento stesso: "sì c'era chi lo beveva il latte, i vitelli!").

Vengono valorizzate le risorse del bosco come i funghi, le castagne, i marroni, i prodotti del grano (varie frittelle di farina, la bruschettà che si fa col pane abbrustolito spalmato d'olio, i crostini, il ciaccino o focaccia e poi i pici e le tagliatelle fatti in casa), l'olio e il vino, e il cinghiale, la più significativa preda delle bande dei cacciatori.

Frittelle e marroni vengono proposti con il loro lessico dialettale che fa intuire saperi e conoscenze locali specializzate: il "ciaffagnone" di San Casciano (frittella di acqua, sale, farina, formaggio pecorino), la "panella" di Rapolano (foglia sottile di pasta di pane), il "crastatone" di Piancastagnaio (caldarroste) dove si assaggiano anche i 'suggioli' (lessate), le 'monne' (mondate),'brodolose' (arrostite e lessate) e il castagnaccio, e dove si ricorda forse la grande diffusione che ebbe in area di castagneto la polenta di farina di castagne.

C'è perfino la 'sagra della miseria' che appare nata proprio per commentare i cibi del passato, divenuti oggi però oggetto di curiosità e di gusto inconsueto (vi si offre trippa, fagioli e altro). Anche la nouvelle cuisine dei ristoranti specializzati valorizza oggi i principi dei menù quotidiani locali, che presentano varietà di gusti e fantasia (le frittate con le cime di varie verdure, come la vitalba etc...). Siamo ormai lontani dall'immagine del cibo medio italiano della fase del consumismo: pastasciutta al sugo e fettina. Ora, grazie anche al ritorno delle varietà povere della cucina contadina, c'è una nuova attenzione alle diete, menù più ricchi e a più larga base vegetale tornano dal passato povero, per una cucina insieme sana, basata sulle risorse locali e fantasiosa.
 

Tratto da: Tradizioni antiche e nuove in Terra di Siena

 

 


 

 

Il Calendario di una Civiltà Contadina

 

 

 

È difficile capire la terra di Siena, senza ricordare che essa era curata, palmo a palmo, da sole a sole, da migliaia di famiglie di contadini mezzadri che vivevano nelle case sui 'poderi', che mangiavano quasi esclusivamente quel che producevano nell'orto, nel campo (grano, vite, olivo), nel pollaio e con l'allevamento del maiale, che si spostavano raramente da lì.

Solo i capofamiglia (capocci) con alcuni dei maschi di casa andavano a piedi alle fiere e ai mercati.

La grande famiglia contadina, composta di più nuclei e più generazioni che vivevano insieme, stava sul podere nella casa colonica, un complesso che comprendeva le camere, la grande cucina comune col focolare, il granaio e la dispensa, la stalla, il porcile, il forno e talora il colombaio. Si incontrava con le altre famiglie la domenica in Chiesa, talora 'a veglia' - la sera - dove si raccontavano storie, fiabe, pettegolezzi, si giocava a carte o si beveva del vino, e i giovani tentavano i corteggiamenti.

Ci si incontrava in grande invece per i matrimoni, e poi per i lavori della mietitura e trebbiatura, o per la vendemmia, quando ci si aiutava tra vicini e si chiamavano anche altri lavoratori che venivano spesso dalle zone più povere della montagna.

La vita dei contadini e il paesaggio ch'essi plasmarono con il loro lavoro, sotto la direzione dei fattori, e sotto regole di vita e di divisione dei prodotti stabilite dai proprietari (spesso aristocratici cittadini), che prevedevano in genere il versamento al padrone della metà dei prodotti e degli 'utili' del bestiame, è stata dipinta da molti pittori (dal paesaggio del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, fino alla pittura macchiaiola e Fattori) ed è stata descritta da molti grandi scrittori, ma la terra di Siena ha avuto pagine soprattutto di Federigo Tozzi, forse uno dei più grandi narratori del nostro Novecento. Vediamone due immagini riferibili ai primi decenni del secolo.

"Il loro podere era in fondo a una specie di buca: d'ogni parte s'addossavano le collinette, con i loro greppi sempre più lunghi di mano in mano che quelle salendo e distrigandosi dai viluppi dei fianchi potevano allargarsi e allontanarsi l'una dall'altra. Ogni greppo reggeva un pianarello con un filare di viti e di olivi; e in ogni collinetta, tutta tagliata e lavorata a poderi, c'erano coppie di bovi ad arare. I cipressi, di squincio, facevano riconoscere, anche a guardare dalla cima di una collina, i confini dei poderi e le viottole erbose."

 

"Il podere era bello: ci si trovava una dolcezza che invogliava a starci: cinque cipressi, in fila, dietro il muricciolo dell'aia: e poi tutto pieno d'olivi e di frutti. L'appezzamento pianeggiante era di una terra scura e rossiccia; il resto tufo asciutto e sodo, quasi giallo. A primavera, meno il lavorato con l'aratro o con la vanga, doventava di cento verdi; e l'autunno ci metteva un bel pezzo a scolorirli."

 

Questo mondo animato e vario, con la campagna piena di uomini e animali e ricca di toni di colore, mutevoli ad ogni stagione, è durato fino agli anni Sessanta, dopo aver cominciato a sgretolarsi subito dopo la seconda guerra mondiale, quando la modernizzazione da un lato e la sindacalizzazione dei mezzadri dall'altro, fecero apparire impossibile la continuazione di un modo di vivere così separato e lontano dalla vita e dai comfort del mondo attuale.

Ma la vita molteplice interna a questo mondo, oggi quasi dimenticato, è quella che sola può dare spiegazione del territorio senese: esso infatti è l'erede di una vera e propria civiltà contadina che si integrava, ed era anche in conflitto, con la vita delle dignitose cittadine e dei numerosi paesi della terra di Siena.

I contadini mezzadri erano i principali produttori di beni di tutta la provincia (circa il 70% della popolazione), essi erano abituati alla vita nei campi e mal visti talora nelle cittadine e paesi dove capitava loro di subire scherzi.

Intorno a loro gravitava la vita di commercianti e artigiani, mediatori, braccianti e poveri, che giravano il territorio per vender loro servizi o passar la notte nella stalla.

La base della civiltà contadina dei mezzadri era il CALENDARIO basato sui cicli agrari e sui cicli festivi, e sull'uso del computo delle fasi lunari per le coltivazioni.

Il calendario dell'anno e delle stagioni vedeva intrecciarsi i tempi dei lavori, delle semine e dei raccolti, con il tempo delle feste.

I tempi dei lavori si basavano sull'esperienza degli anziani e sull'uso dei Lunari, dov'erano segnate le cesure delle stagioni (es. "Santa Lucia la notte più lunga che ci sia"...) , venivano dati consigli agrari, si ribadivano credenze come quella del carattere negativo dell'anno bisestile per i lavori agrari (es. "Nell'anno bisesto non por bachi e non far nesto" etc).

Le feste seguivano il calendario detto del 'ciclo dell'anno', anch'esso basato su credenze antiche (le previsioni dell'anno basate sul tempo del giorno della Candelora ad esempio), pronostici sul raccolto, ma anche ritmi e indicazioni per il tempo festivo (es."Chi non carneggia non festeggia"; "A Natale un bel ceppo, a Carnevale un bello spiedo, a Pasqua un bel vestito"...).
L'altro TEMPO della civiltà contadina era quello del ciclo della vita, il tempo cioè delle nascite e delle morti, dei fidanzamenti e dei matrimoni. Tutte scadenze per le quali una società con così poche risorse rispetto ad oggi cercava di essere pronta, risparmiando, preparandosi per tempo, in modo da celebrare sempre con ampiezza di beni alimentari, e la presenza di tanta gente.

Il ciclo festivo dell'anno si basava sulle grandi feste religiose e su quelle patronali e delle pievi di campagna, con esso si connetteva il tempo delle fiere e dei mercati.
La modalità fondamentale della festa era mangiare meglio, lavorare meno, stare insieme, seguire una processione o la banda, cantare nel coro della chiesa, servire nei panni di una Confraternita, ascoltare un 'bruscello', andare a fare una merenda sul sagrato di una chiesa di campagna o in un bosco. Ma in generale la festa coincideva con la possibilità di mangiare meglio, bere meglio e dare controllata libertà al piacere della socievolezza (canti, scherzi, battute, stornelli e canti improvvisati in ottave, corteggiamenti, racconti).
Abbandonati i poderi e la terra con la fine della mezzadria negli anni Sessanta, i contadini vivono ora nei paesi, dove ancora tengono orti. Alcuni lavorano ancora la terra. Su molti poderi li hanno sostituiti i pastori sardi con le loro greggi, e sono essi che fanno oggi la gran parte del formaggio pecorino (avendo appreso la 'tradizione toscana' del farlo); su molti poderi sono villeggianti o stranieri ad abitare le case coloniche, costruzioni spesso secolari o plurisecolari, avendole acquistate e ristrutturate.
Ma il calendario contadino riemerge ancora con le sagre e le feste, con le fiere e i mercati.

Le sagre soprattutto, ignote in passato, hanno creato nuovi momenti per stare insieme intorno al cibo, ai prodotti locali, ai giochi e alla socievolezza.

Anche le nuove 'feste politiche' estive seguono una tradizione basata sul cibo e la commensalità.

Mentre i mercati settimanali e le fiere periodiche seguono ancora in gran parte antiche scadenze, alcune legate al calendario religioso (come le fiere di più giorni di fine agosto e i primi di settembre).

Anche le nuove feste in costume (il bravìo delle botti, il palio dei ciuchi ed altri palii di nuova istituzione, le gare di balestrieri e arcieri) cercano di sostituire modi antichi di stare insieme valorizzando capacità legate agli antichi saperi (lavorare in gruppo, conoscere il bosco, saper cacciare, conoscere gli animali...).

Così le feste nuove, che sono importanti anche per invitare il turista a conoscere memorie del medioevo comunale, per conoscere la cucina locale, hanno in terra di Siena qualche cosa degli aspetti fondamentali del calendario festivo del passato antico: la centralità del cibo, dello stare insieme e delle abilità legate alla terra e agli animali.

Le feste meno mutate, in un territorio ormai molto trasformato, sono quelle legate al ciclo festivo religioso. Anche queste si sono un po' uniformate all'omologazione degli anni Sessanta, ma in anni recenti hanno ripreso vitalità sia le processioni del Venerdì Santo che alcune forme di sacra rappresentazione della morte e crocifissione di Gesù in costume storico.

Mentre alcune processioni e feste locali legate alla campagna, anche se hanno visto diminuita la partecipazione, mantengono simboli e modi del passato.

Di lunga tradizione sono i fuochi di Natale (Abbadia) e di Santa Croce (S. Casciano), le benedizioni di animali e prodotti per S.Antonio Abate, le feste di San Biagio e Sant'Agata. Lunga tradizione hanno anche i pronostici e la raccolta di erbe per la notte di San Giovanni, la più magica e ricca di umori vegetali dell'anno.
Con la fine della mezzadria è invece finito l'uso delle veglie in casa (o d'inverno nelle stalle) in cui si raccontavano storie di paura, 'novelle' e fatti della vita. Finito è anche il canto dei bruscelli (forme di teatro epico o religioso in costume, cantato in versi endecasillabi in ottava rima) assai popolari nel Chianti e in Val di Chiana fino agli anni Cinquanta (in agosto a Montepulciano si canta un "bruscello cittadino"), e del piccolo spettacolo comico detto "Sega la vecchia' (una storia di nozze contrastate con una base rituale in cui la vecchia donna di casa veniva equiparata a un vecchio ceppo da segare). Entrambe queste forme del 'teatro popolare', parte della più ampia'cultura popolare' contadina, erano recitate e cantate solo da uomini (anche le parti femminili), e si facevano soprattutto per la mezza quaresima: una piccola interruzione edificante o carnevalesca nella lunga vigilia quaresimale.

Il bruscello di Montepulciano è nato negli anni Trenta arricchendo e modernizzando il bruscello contadino, ed è riuscito ad affermarsi nel quadro delle feste d'estate.
Il calendario festivo della terra di Siena in gran parte si è spostato verso l'estate, sia per il diffondersi delle ferie estive e del tempo libero in tutte le categorie sociali, sia per venire incontro alle esigenze del turismo.

Anche il cantare i versi del maggio (Cantarmaggio) alla notte del 30 aprile, girando per i poderi, non usa più da quando i poderi non sono più abitati dai contadini.

Ma l'uso è rimasto nelle frazioni dei nuovi poderi nati negli anni Cinquanta nel comune di Castiglione d'Orcia.

Il maggio come albero da piantare in paese, rituale contadino che fu anche simbolicamente ripreso dalla Rivoluzione francese (l'albero della libertà), viene ancora usato a Saragiolo e Piancastagnaio, in quest'ultimo centro dell'Amiata si porta ancora in giro nella notte del 5 gennaio il canto della befana.

Un gioco di palla tradizionale viene tramandato a Chiusdino (la patta eh), e in più centri si gioca ancora la Ruzzata (Chiusi, talora con le forme di formaggio come a Pienza).

Una riflessione sulle proprie radici contadine continua a fare ormai da più di trent'anni il teatro Povero di Monticchiello, un gruppo teatrale locale di una frazione di Pienza, che alla fine di luglio di ogni anno rimette in scena i contadini del passato, recitati da ex contadini e dai loro figli e nipoti, e racconta il problema della vita in Val d'Orcia, tra radici contadine e mondo dei consumi e della perdita d'identità.

 

Pietro Clemente
 

Tratto da: Tradizioni antiche e nuove in Terra di Siena