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Il clou della Val d'Orcia è Pienza. Il centro erede del Castello di Corsignano, assurto al rango di città, non in riconoscimento di una raggiunta dimensione urbana conseguente a un processo di crescita economica e demografica, bensì in virtù della volontà di un pontefice umanista che volle dare consistenza a un suo sogno: "lasciare un monumento a diuturna memoria delle proprie origini" , e al tempo stesso dar vita a una realtà urbana che costituisse l'espressione più significante della cultura artistica del primo Rinascimento.

Nell'agosto del 1458 il cardinale Enea Silvio Piccolomini fu eletto papa col nome di Pio II: da questo evento scaturirono conseguenze imprevedibili per il Castello di Corsignano, che nel volgere di alcuni anni non solo mutò completamente il suo assetto urbano, ma fu elevato a dignità cittadina divenendo sede di vescovado.

Istituita dallo stesso pontefice nel 1463, la nuova diocesi fu costituita accorpando alcuni pivieri in precedenza facenti parte dei territori diocesani di Arezzo e di Chiusi, oltre alla senese Pieve di San Nazzario.

 

     
  FotoGallery della Cattedrale Il Cedimento della Cattedrale Il labirinto delle sottofondazioni Il sottotetto e le volte  
     
 

 

La Cattedrale

Il totale rifacimento del Castello in cui Pio II era nato ed aveva trascorso gli anni della fanciullezza iniziò nel 1459, su "ispirazione" dell'umanista Leon Battista Alberti e sotto la direzione dell'architetto del papa, Bernardo Gambarelli da Settignano, detto il "Rossellino".

Tre anni dopo, con bolla del 13 agosto, il pontefice erigeva il castello a città, mutandogli il nome in Pienza, "ad memoriam nostri pontificalis nominis". Oltre alla Chiesa di Santa Maria Assunta, che diverrà poi Cattedrale, al Palazzo Piccolomini, e agli atri edifici principali, Pio II fece costruire, sotto la direzione del Porrina, dodici case. Inoltre convinse vari privati e i cardinali Giacomo Ammannati, Francesco Gonzaga, Roderigo Borgia e il vescovo di Arras, a edificare anch'essi altrettanti palazzi nella nuova città in formazione.

La piazza intitolata a Pio II è il cuore della cittadina: su di essa si affacciano i maggiori edifici, come la Cattedrale, il Palazzo Piccolomini, il Palazzo vescovile con la Casa dei Canonici e il Palazzo comunale.

La Cattedrale di Santa Maria Assunta, maggior fatica del Rossellino, fu consacrata dal vescovo ostiense il 29 agosto 1462: lo stesso Pio II consacrò l'altar maggiore, dopo aver promulgato una bolla di scomunica contro chiunque ardisse alterare la forma dell'edificio (la bolla fu poi revocata da Gregorio XIII, nel 1583, dovendosi procedere a dei restauri).

La chiesa ha una severa facciata in travertino spartita in tre parti da pilastri fiancheggiati da un duplice ordine di colonne e coronata da un largo fastigio adorno al centro dello stemma di Pio II. Nell'interno le tre navate, di eguale ampiezza come nelle "hallenkirchen" o chiesa a sala  (è una particolare tipologia relativa alla costruzione delle chiese nella quale la navata centrale è alta quanto le navate laterali, o di poco più alta, contrariamente a quanto si riscontra nella prevalente tipologia basilicale) d'Oltralpe, sono divise da pilastri a fascio con capitelli, ciascuno dei quali è sormontato da un basso pulvino su cui se ne eleva un secondo assai alto, terminante in una cornice che imposta le crociere della copertura.

Le navate minori, in prossimità del presbiterio, si uniscono in una sorta di deambulatorio, attorno al quale si aprono le cinque cappelle absidali, disposte a raggiera e illuminate da sestiacuti finestroni che inondano di luce l'interno, dandogli l'aspetto di un "templum cristallinum" secondo l'espressione usata dallo stesso Pio II nei suoi "Commentari".

A lato della chiesa, sulla sinistra, è un campaniletto cuspidato in travertino, ancora riecheggiante forme gotiche, e sotto il presbiterio si sviluppa una cripta (il Tempio di San Giovanni), a somiglianza del Battistero di Siena, nella quale, oltre ad un elegante fonte battesimale disegnato dal Rossellino , sono alcuni frammenti di sculture romaniche che decoravano l'antica Chiesa di Santa Maria, situata entro il Castello di Corsignano.

Tra le opere d'arte di cui è ricca la Cattedrale vi è l'Assunzione della Vergine del Vecchietta, dipinto a tempera con sfondo in oro, che è forse il capolavoro dell'artista: alcune tavole di Matteo di Giovanni, di Sano di Pietro e di Giovanni di Paolo, un altare marmoreo con reliquario d'argento, forse di Bernardo Rossellino, un gotico coro ligneo a due ordini di stalli.

 

 
   

Il Cedimento della Cattedrale

L’intervento, che tra il 1459 e il 1462 per volere di papa Pio II portò alla trasformazione della medievale Corsignano nell’umanistica Pienza, è stato riconosciuto, già dal XIX secolo ma soprattutto dai primi del Novecento, come un nodo storiografico nell’architettura del Rinascimento e per questo ha riscosso l’interesse degli Studiosi stranieri, italiani e senesi in particolare.

Le fonti coeve, e in particolare i “Commentari” del committente dell’opera, il papa Pio II Piccolomini, hanno lasciato pochi dubbi sulla paternità realizzativa dell’opera, anche se, in verità, molti interrogativi si sono affacciati in merito alle notizie fornite da Giorgio Vasari nel 1568 (che voleva, invece, Francesco di Giorgio Martini autore delle opere piantine), e, infine, in relazione al problema degli eventuali consigli, o dell’interveto diretto nell’ideazione, da parte di Leon Battista Alberti, allora Abbreviatore Apostolico e membro influente della Corte pontificia. Ma a quel rinnovato interesse storiografico-critico, tra Otto e Novecento, si associarono anche le preoccupazioni destate dalle condizioni statiche della cattedrale di Santa Maria Assunta, che minacciava di rovinare o comunque di dissestarsi irreparabilmente, a causa di uno smottamento verso valle, in tutta la sua parte absidale.

Quei problemi strutturali si erano mostrati fin da subito e lo stesso Pio II raccontava nei suoi “Commentari ” come «una crepa apparsa nell’edificio, dalla base alla cima, fa nascere qualche sospetto sulla saldezza delle fondamenta» e non potendo trovare lo strato solido «furono costruiti dei grandi archi da un blocco roccioso all’altro e sopra di essi si poggiarono i muri … L’architetto pensò che la crepa fosse dovuta al ritirarsi della calce nel processo di indurimento e ritenne che non si dovesse temere per la struttura dell’edificio. Il tempo mostrerà se è vero»
La Città di Pienza si stende, in direzione est-ovest, sul sommo pianeggiante di un colle pliocenico che si affaccia sull'ampia valle dell'Orcia dominata nel versante opposto dalla gigantesca mole vulcanica dell' Amiata. I fianchi dell'altura discendono ripidi a mezzogiorno dove il terreno subito si abbassa verticalmente di una diecina di metri, scoprendo una parete rocciosa che percorre a guisa di bastione tutta la lunghezza dell' abitato.

I muri della facciata e delle navi, della Cattedrale, situati nella parte alta e piana del colle, furono impostati sullo strato del calcare, semplicemente spianato, che per la sua resistenza e per la sua connessione alla roccia sottostante offriva un buon appoggio. La fondazione dell'abside e della parte sinistra del transetto era invece ardua; il banco di arenaria doveva apparire, a valle del dirupo, una superficie irregolare sparsa di massi a guisa di scogliera - come ancora si vede più ad ovest - ed anche i crepacci ed i vani dovevano essere ben appariscenti. Tuttavia, almeno a un esame non molto approfondito, la roccia doveva dare I'impressione di avere ormai raggiunto la definitiva stabilita se il Rossellino, dopo averla regolarizzata, non esito ad appoggiarvi i muri.

I "Commentari" danno di quest' opera notizie impressionanti : "non fu facile trovare una buona fondazione perché scavando s'incontravano crepacci e massi incoerenti, e perché il lavoro era continuamente ostacolato da frane e da esalazioni sulfuree, tanto che una volta, mentre cercavano di rimediarvi, non avendo bene puntellato lo scavo, alcuni operai perirono seppelliti da una frana; finalmente il terreno resistente fu trovato a centootto piedi di profondità, ma si dovettero gettare larghissime arcate fra masso e masso per fondarvi sopra i muri della chiesa".

- 1462 (Termine della costruzione dell'edificio). - Lieve cedimento dell'abside, provocato dal rassetto dei terreno di posa e della muratura. Appare la prima crepa sul lato sinistro.

- Ultimi decenni del XV secolo. - Prosegue il moto dell'abside, manifestandosi nella duplice forma di abbassamento e di rotazione, per effetto della decomposizione della roccia alla base del banco di arenaria. Si avvertono i primi dislivelli nei filari dei conci e nelle cornici, e si aprono numerose nuove crepe allargate verso I' alto, specie all'attacco col transetto. Questo subisce, per le stesse cause, un lentissimo cedimento.

- Prima meta del XVI sec. - il moto absidale rallenta, ostacolato dai piloni sotterranei e dal rinfianco.

- 1545. - Comincia a spostarsi a versante sud della collina, e si accelera il cedimento quasi solidale dei transetto e dell'abside, dovuto all'allargarsi del crepaccio del terreno per opera dei terremoto. Si formano, o almeno si aggravano, le due grandi crepe che tagliano verticalmente le testate del transetto lungo i finestroni.

- Seconda meta dei XVI secolo fino al XX secolo. - Continua il moto della collina, e I'abbassamento con rotazione dell'abside e del transetto, causato dalla decomposizione della roccia e dalI'affondamento della base dei piloni e dei massi di arenaria nell'argilla. Si aggravano lentamente ma di continuo le lesioni, invano contrastate dalle ripetute opere di restauro. 

 

 
 
 

I testi e le fotografie che seguiranno, relativi al Labirinto delle Sottofondazioni, al Sottotetto e alle Volte del Duomo, sono state tratte da: Pienza Nascosta - Quaderni di documentazione fotografica a cura del Gruppo Fotografico Pientino - al quale Gruppo porgo i miei ringraziamenti per l'autorizzazione concessami.

www.gruppofotograficopientino.it

Il Labirinto delle Sottofondazioni

A giudizio di molti, se ancora oggi possiamo ammirare ciò che ha prodotto la volontà di Pio II, è grazie a quel lavoro duro, pericoloso e ingrato quanto umile, che alcune decine di persone hanno condotto a partire dal 1911 e, con alterne vicende, fino al 1934, concretizzatosi con un complesso sistema di sottofondazioni e di gallerie.
La grandiosità dell'opera può essere tanto più apprezzata, quanto più si tenga conto della modestia e i di mezzi all'epoca in cui fu realizzata. Tale intervento ha infatti avuto il non trascurabile merito di migliorare notevolmente la salute del monumento, che alla fine del secolo scorso, sembrava irrimediabilmente compromessa.
Notevole fu anche lo sforzo compiuto dallo Stato Italiano, se si pensa che i lavori della prima fase furono continuati anche in un periodo in cui la Nazione era impegnata nella "Grande Guerra". Il Consiglio Superiore per le Antichità e Belle Arti, nell'aprile del 1910, approvò il progetto del Prof. Cesare Spighi, titolare della Regia Soprintendenza ai Monumenti di Siena, per eseguire il consolidamento delle fondazioni del Duomo. Nel febbraio del 1911, sotto la direzione dello stesso Spighi, fu aperto il cantiere. Il 20 di novembre dello stesso anno, dopo i lavori preparatori, fu iniziato lo scavo del primo pozzo, ubicato all'esterno della parete del transetto, dal lato sinistro. I lavori continuarono tra alterne vicende, nuovi ì finanziamenti ed il cambio di vari responsabili dei lavori, fino al 1934.

Al termine dei lavori, le nuove fondazioni dell'abside si presentavano come un blocco monolitico di muratura, percorso da un complesso sistema di gallerie, scale, corridoi e pozzi, sviluppato su sei ordini sovrapposti. Tutto il sistema ha il duplice scopo di rendere ispezionabili le fondazioni stesse e, nel contempo, quello di raccogliere e garantire lo smaltimento delle acque di drenaggio.
Oggi sono percorribili per un totale di poco superiore ai seicento metri, mentre i cunicoli che furono chiusi nei primi anni sessanta, si snodavano per altri cento metri circa. Le scale di collegamento tra le varie quote contano complessivamente 671 gradini, la cui alzata è mediamente di 20 cm. La larghezza varia tra un minimo di 50 cm ad un massimo di circa un metro e sono state ricavate nel vano dei pozzi di lavoro a mano a mano che questi venivano riempiti dalla muratura.
Le gallerie presentano normalmente una larghezza di 60 cm, ma le principali raggiungono anche 1,4 m. L'altezza varia da un minimo di circa due metri ad un massimo di poco superiore ai quattro metri. Sono tutte rivestite di mattoni oppure in blocchetti di travertino.
La copertura è in voltine di mattoni o in lastroni di travertino. Il pavimento è in calcestruzzo e in mattoni ed in alcuni tratti è percorso da una fossetta di raccolta delle acque di drenaggio provenienti dalle numerose feritoie presenti nelle pareti degli ordini più bassi.
L'andamento del tracciato è vario e non sembra rispettare nessun ordine: in alcune zone le gallerie sono più fitte ed in altre più rade. Le più grandi, appartenenti ai primi tre ordini, sono quelle trasversali rispetto all'asse della chiesa, sono ubicate praticamente in corrispondenza del transetto e a queste fanno seguito quelle perimetrali nel lato sinistro del secondo e terzo ordine. Le gallerie minori hanno un percorso ed una distribuzione per lo più irregolari, avendo il compito di coordinarsi con le maggiori e con le scale, inoltre per la loro costruzione fu seguito il criterio di evitare di passare sotto ai pilastri e ai muri della chiesa se non in direzione ad essi ortogonale.
Camminando lungo i cunicoli, anche i più angusti, non si avverte il minimo senso di disagio, essendo l'areazione più che sufficiente, nonostante che attualmente soltanto una delle dieci prese d'aria, insieme alle tre porte d'ingresso e all'ultimo cunicolo di evacuazione delle acque di drenaggio, assicurino la ventilazione. Fa inoltre parte integrante di tutto il sistema di smaltimento delle acque, un pozzo che si trova ad alcuni metri di distanza dal muro esterno dell'abside, nel lato sud-est. Esso sembra risalire ai primi anni del 1500, come risulterebbe dal testamento del cardinale Francesco Piccolomini, futuro Pio lll°; rappresenta una delle prime opere, se non la prima in assoluto, eseguite allo scopo di affrontare il problema della stabilità del Duomo di Pienza. Fu realizzato con un rivestimento in conci di pietra arenaria e nonostante il dissesto subito dall'abside, esso si mostra intatto nella sua forma e nella sua verticalità a distanza di secoli. In ogni caso si è certi che questo pozzo esistesse già nel 1538, come risulta da "Un antico diario senese" pubblicato da G.B. Mannucci sul "Bullettino Senese di Storia Patria", anno XXIX, fasc.I, pag. 95, Siena 1922. In quell'anno, un canonico del duomo, per sbarazzarsi di un cadavere, lo gettò "in quel pozzo che è sotto la chiesa fuori della porta a Santo che hora è serrato, che era profondo e seccho"
La descrizione delle gallerie può meglio essere riassunta nella considerazione espressa dal prof. Barbacci "A chi visita le gallerie sotterranee del Duomo, viene spontaneo ricercare i motivi che hanno diretto il costruttore nella distribuzione di esse che, unite alle più recenti, danno, a chi non si è familiarizzato col luogo, la sorprendente e insieme angosciosa impressione di trovarsi in un labirinto''.
 

 

 

Particolare di un pilastro e relativa struttura in travertino per sorreggere i volumi soprastanti.

 

Pozzo "del canonico" in conci di arenaria. Probabilmente il primo tentativo di ispezione del sottosuolo e di drenaggio delle acque.

 

Uno dei corridoi rinforzati con archi in travertino per impedire lo schiacciamento delle pareti.

 

Corridoio che non presenta tracce di umidità.

 

Particolare di un corridoio dove i mattoni schiacciati dal peso e indeboliti dall'umidità, sono stati sostituiti da conci di travertino.

 

Corridoio con pareti in laterizio. I mattoni sono stati sostituiti in molti corridoi con conci di travertino, più resistenti alle forti pressioni.

 

Corridoio percorso da canale di scolo delle acque.

 

Corridoio del primo piano sotto il battistero con i quadri della mostra permanente.

 

Corridoio del primo piano sotto il battistero con i quadri della mostra permanente.

 

Una delle scale vista da sopra.

 

 
     
   

Il Sottotetto e le Volte

Le immagini che seguono si riferiscono ad una parte della Cattedrale pientina assai suggestiva, difficilmente visibile se non tramite un accesso riservato; salendo la scala in ferro all'interno della base del campanile, si giunge infatti nello spazio tra il tetto in laterizio e le strutture in legno che sostengono le volte a crociera sottostanti. Questi elementi di copertura hanno subito negli anni molti danni, causati dal lento ma inesorabile movimento di tutta la zona absidale della chiesa. Si hanno notizie certe della loro ristrutturazione o ricostruzione già nel 1570 (anche per i danni del violento terremoto del 1545 che aveva fatto crollare una parte del campanile e delle volte) e nel 1596.

A causa dell'abbassamento dell'intera struttura, le volte del transetto e dell'abside furono completamente sostituite tra il 1888 e il 1889, grazie ad un intervento radicale, consistente nella costruzione di volte lignee al di sotto delle quali venne ancorato un incannucciato intonacato e riaffrescato (da notare che alla fine del 1500 era stata proposta la manovra inversa, come risulta da una carta dell'epoca: "demolire le volte a cannicci e tavole ricostruendole in muratura ben rinfiancate. Il tetto si metterà in sicuro facilmente perché il tetto non ha da reggere la fabbrica, ma la fabbrica ha da reggere il tetto").
Alla fine dell'Ottocento, la parete del coro fu ancorata alla facciata tramite tiranti lignei, infatti la medesima non era in grado di sopportare alcuna spinta proveniente dalle volte che, seppure alleggerite, premevano ancora con forza nelle disastrate pareti perimetrali. Contemporaneamente un ulteriore ancoraggio venne realizzato con catene di acciaio che, partendo dalla facciata collegarono i capitelli delle colonne della sala, fino al transetto, catene ancora esistenti e ben visibili dall'interno.

Durante lo stesso intervento vennero demolite anche tutte le volte della sottostante chiesa di San Giovanni, anch'esse in procinto di crollare, sostituendole con un solaio di travi lignee, in cui appoggiava il pavimento della chiesa maggiore. La situazione era disperata e alla fine del XIX secolo si riteneva che il duomo sarebbe potuto crollare da un momento all'altro; la muratura absidale era sprofondata nei decenni di oltre 1,30 metri e le gronde sporgevano all'esterno di un metro e mezzo.
Gli imponenti interventi di sottofondazione realizzati tra il 1911 e il 1934 interruppero in parte i movimenti e il restauro interno interessò ancora le volte.

È l'Ing. Barbacci a descrivere l'operazione di ricostruzione "L'opera restauratrice viene iniziata nel settembre 1930, elevando i ponti di fabbrica per la ricostruzione delle volte nella parte tergale della chiesa. Mancano, di queste, le cinque corrispondenti al transetto e le tre absidali attigue; restano, più o meno gravemente lesionate, quelle delle tre cappelle dell'abside. Le volte scomparse, un tempo in mattoni, dello spessore di m. 0,15 e provviste di costole diagonali, erano state demolite e, come sappiamo, rifatte ad incannicciato. Tenendo conto dell'inclinazione dei muri e dei pilastri, decido di seguire per la costruzione una via intermedia tra le volte finte e le vere: collego i pilastri fra loro e coi muri, mediante archi di mattoni ben rinfiancati, e sopra questa intelaiatura elevo delle finte volte, costituite da costoloni diagonali, ricavati dalle travi di pitch-pine dei puntelli smontati, sui quali si inchioda solidamente della rete metallica intonacandola poi con malta di cemento".

Barbacci esegue in quegli anni anche il ripristino della decorazione, basandosi sui saggi eseguiti e sulle descrizioni che lo stesso Pio II aveva fatto nei Commentarii: "I quali narrano che nelle volte delle cappelle le stelle d'oro affisse e il colore del cielo impresso imitavano il vero aspetto del firmamento". Quindi le volte esistenti sono quelle realizzate da Barbacci mentre la struttura del tetto superiore con travi di cemento ed in acciaio appoggiate ai pilastri, risale ai restauri degli anni '60.

Guardando dall'interno della chiesa non si intuiscono affatto le strutture sovrastanti; il manto stellato delle crociere evoca il cielo notturno, una sorta di trompe l'oeil che guida lo sguardo verso un cielo immaginario; sopra, un intreccio di cannucce e reti metalliche intonacate, tavolame arcuato, ferro e cemento agiscono all'unisono per garantire la stabilità e la protezione dell'intero spazio sottostante.

 

 

Scale all'interno della struttura del campanile che conducono alle volte del tetto.

 

Due delle volte lignee dell'abside.

 

Volte lignee del transetto con le passerelle per l'accesso alle varie zone. Sopra le strutture del tetto.

 

Particolare di una volta lignea con arco, travi in ferro ed in legno soprastante.

 

Le volte in mattoni della navata centrale. Sopra, gli archi portanti del tetto con i travi in cemento e le tabelle in laterizio.

 

Volte lignee del transetto e dell'abside.

 

Particolare di uno degli archi portanti del tetto.

 

Vista d'insieme dall'abside verso il transetto e le navate.

 

Scaletta di accesso al tetto