Da "il Giornalino della Domenica" del 1911 due racconti giovanili del costituzionalista Piero Calamandrei, ambientati in Valdichiana.

 

 

 

   

 

 

 
 

Maternità

Il rospo

 

 

 

 

I

 

Sandro de' Marzuoli se ne tornava a casa su da' bassi poderi dei Canneti, ov'era stato a pigliare dal vecchio Sellerò, che nei suoi campi grassi come orti ci aveva un po' di tutto, un pugnello (1) di cipollino,  per seminarlo in un suo campo, all'umidiccio di un botro.

 

Per arrivare in cima al poggio, ov'era la sua casa, Sandro doveva attraversare una distesa di stoppie ondulate, venate qua e là da tortuosi crepacci che aprivano per la caldura le loro labbra quasi azzurre, com'è il color della creta pura: e, risalendo a schiena curva e col giubbone sulle spalle quelle pendici aride, che neanche un mese prima biondeggiavano di grano, guardava con occhio amorevole la sua terra che mai lo avea tradito.

Il violento sole del luglio già inoltrato faceva luccicare, sulle crete che serbavano ancora l'impronta dei solchi, gl'innumerevoli mozziconi del grano che la falce vi aveva lasciato, quali setole rinascenti con ispida vigoria sovra una pelle da poco tosata; qua e là, sul culmine delle passate,(2) qualche rosolaccio o qualche tardo fiordaliso dipingeva su quella grigia monotonia soleggiata un po' di gioia fiammante o di azzurra serenità.

E Sandro pensava, camminando, che nell'anno nuovo, lì su quella piaggia, ci avrebbe fatto il granturco e non più il grano; poiché la terra è come gli uomini: un anno l'oro dei grani, quell'altr'anno il trifoglio vermiglio, quell'altro ancora il bel verde del granturco; per non consumarsi e per non intristire, bisogna mutare, ogni tanto....

 

Or ecco che a tre o quattro passi innanzi a lui, nel fondo di un solco ove un occhio comune avrebbe scorto soltanto il grigio color della terra, scoprì una creatura viva, grigia anch'essa ed immobile, che si acquattava per non esser veduta, senza cercar di fuggire.

Sandro, con quella rapidità di percezione e di movimento che è propria della gente avvezza a spiare la vita dell'erbe e a chiedere ogni premio alla forza e all'agilità delle membra, si tòlse in un lampo il giubbone dalla spalla, lo spiegò, spiccò un salto e lo lanciò come un giacchio da pescatori a ricoprir quella immobile preda: e poi si gettò in ginocchio sul giubbone disteso, che si gonfiava e sobbalzava per un soffocato starnazzare d'ali rinchiuse.

 

Una starna al covo! Sandro, quando la sentì dibattersi sotto la giacca, fu pieno di gioia come per una gran vittoria. Una starna al covo!... Ma che si canzona, Dio santo?! Non avvien mica di trovarne tutti i giorni pei campi, e di chiapparle così, come un farfallone con una cappellata!

Pian piano, cominciò a restringere i margini del giubbone, come a formarne un sacchetto, finché, con delicatezza che mal si sarebbe supposta in quelle grosse dita, non ebbe fatto combaciare, stretti nel suo pugno, le due maniche ed il colletto ed il lembo inferiore della giubba, quasi fossero le quattro cocche di un fazzolettone. E, alla fine, la starna fu rinchiusa in un fardello, ed ei potè cosi alzarla dal suolo, prigioniera.

 

E allora, nella cavità del solco, su uno spiazzato seminato tutto di piume bianchiccie, apparve il tesoro che la starna celava con tanta cura e che non aveva voluto abbandonare per mettersi in salvo: parecchie piccole uova quasi rotonde, disposte in cerchio, una accanto all'altra.

Un guscio, per la violenza del colpo dato dal contadino, s'era spezzato e un po' di torlo giallastro ne colava sul terreno; ma le altre quindici uova — Sandro le contò con sodisfatta attezione — eran tutte sane, lustre come piccole sfere d'avorio di colore olivastro chiaro.

E il contadino, sempre inginocchiato, mentre con una mano reggeva in aria la prigione della madre, si dette a raccogliere col!'altra le piccole prigioni dei figli: ad una ad una, quelle uova, passarono tutte dallo spacco della sua camicia, ed andarono calde calde a riposare, l'una accanto all'altra, nel tepor del suo petto. Quando tutte le ebbe nascoste nel suo seno, tra la sua carne e la camicia, Sandro si drizzò pian piano, con l'involto da una parte e sorreggendosi dall'altra la camicia gonfia per la preda nascosta. Die' una sguardata di rimpianto a quell'uovo rotto, e mormorò, vedendone il tuorlo ancora dorato:
— Covata giovine... Ci vorrà du' settimane....

 

E poi riprese la sua via verso il poggio; e, mentre camminava di passata in passata, scavalcando un solco ad ogni passo, piano, affinché le uova che aveva in seno non ballassero e non si cozzassero fra loro, egli, impadronitosi con sì poca fatica di una starna viva e di quindici starne prossime a vivere pensava giocondamente al suo padrone: il quale l'anno avanti, aveva preso la licenza di caccia, e, in due mesi di continuo vagare per monti e per valli, coi suoi stivaloni ed i suoi vispi bracchetti, era riuscito, sì, a vedere una starna; ma, dalla gran commozione di vederla, s'era dimenticato di tirare.

 

II

 

— Babbo, o ch''ete trovo(3) i funghi d'oppio?(4) domandò la Giannina a Sandro, quand'egli arrivo a casa colla sua preda; ma Sandro non rispose a quel diavolo della sua citta, chiacchierina e ficcanaso: e le disse soltanto:
— Aprimi la stalla della buricca (5).
La chiamava la stalla della buricca, ma veramente era una stanza vuota che già aveva dato alloggio a una somarella tenuta per qualche mese, ma che ora serviva solo di albergo ai conigli e di cantiere per riparare gli arnesi.
La bimba, rizzandosi in punta di piedi, agguantò nell'uscio una cordicella che s'affacciava da un buco e che corrispondeva nell'interno al complicato giuoco di un nottolino fatto da Sandro: l'uscio fu aperto, e Sandro, seguito dalla bimba, entrò, richiuse accuratamente l'uscio, fermò il vetro di un finestrino che dava luce alla stanza. I conigli, dalla loro rozza gabbia di rete metallica, guardavano immobili, cogli orecchioni dritti e arrossati per l'inquietudine.

 

C'era, abbandonato in un canto, un panierino da cova ripieno di paglia, asilo della chioccia, ogni volta che la Menica, moglie di Sandro, la poneva: Sandro lo raddrizzò, vi raccomodò dentro il soffice letto facendovi in mezzo un incavo regolare, e vi s'inginocchiò dinanzi, come là, in mezzo alla stoppia soleggiata. E poi, ad una ad una, trasse dal seno e depose nel nuovo nido le piccole uova olivastre, senza aprire ancora la giubba entro la quale la starna ogni tanto si faceva sentire impaziente.
Giannina, ogni uovo che vedeva uscire, mandava un piccolo grido di sorpresa, e domandava qualcosa, senza attender la risposta, che tanto il babbo non rispondeva quasi mai alle sue domande importune:
— Ora?.... O che ova sono? Che son ova di saettone? (6) O' n do' l'ete tròve? 0 che ve ne fate ?
Finalmente tutte quindici furono sulla paglia, accomodate per bene; e allora Sandro si voltò verso il giubbone che aveva deposto sull' impiantito, e, data un'ultima guardata all'uscio e al finestrino, mise in libertà la starna.

Giannina assisteva a bocca aperta, sbarrando gli occhioni color di pervinca: da prima la bestiola restò ferma, stordita dalla prigionia, accecata dalla sùbita luce; poi, a un tratto, capì d'esser libera e tentò un volo verso il finestrino, ma ricadde rumorosamente, battendo in un manico di vanga ch'era appoggiato al muro.... e restò li a terra, coll'ali semiaperte, anelante, avvilita. Ma quando, all'improvviso, essa vide nel cestino le piccole uova, si rialzò, si rianimò: e, colle ali tese, con un moto che fu qualcosa tra la corsa ed il volo, si appressò al nidietto, vi salì sopra e vi si accovò pian piano, per ricoprire e custodire il suo dolce tesoro ritrovato. E lì rimase, senza muoversi più, senza altro cercare.

 

Così anche la prigionia passata dentro la giacca ravvolta, anche la ristrettezza di quella stanza piena di imagini nuove e perfino la presenza paurosa di Sandro e della Giannina non distoglievano la starna da quel suo sacro ufficio: essa restava immobile e paga, pur di sentire come sentiva sotto il suo petto le uova partorite da lei, calde del suo calore. E unico stimolo istintivo, imperioso su quella creatura dei campi e dei cieli, era la forza della sua maternità, che le faceva amare più della libertà e della salvezza quelle piccole vite future ancora inette e indifese, da lei nascoste entro i fragili gusci....
Quando Sandro e la bimba, attraverso l'uscio aperto e subito richiuso con gran cautela, furono tornati all'aperto, Giannina gridò a squarciagola:
— O mamma! o mammaI...

E, come la Menica si fu affacciata alla finestra, col viso e la pezzuola tutti infarinati, che stacciava per il pan del domani, la bimba le disse tutta gioconda:
— Il babbo ha tròvo l'ova di pollo selvatico.... E la gallina selvatica sta lì a covare bona bona, proprio come se fosse una chioccia vera! —

 

III

 

In tal modo, per quindici giorni, la starna covò le sue uova, ferma paziente instancabile. Sandro le portava ogni giorno mandatine di grano e di miglio e gliele gettava vicino al canestro della cova, tanto vicino che quasi essa, potesse beccarle senza lasciare la sua assistenza materna; ma la starna non mangiava mai, finché Sandro era li.

Essa, appena vedeva aprirsi l'uscio e appressarlesi l'uomo, s'insospettiva e s'impauriva visibilmente: le piume grigie del dorso si gonfiavano tremando, la testa quasi voleva nascondersi tra le penne del collo, e gli occhi tondi, che hanno l'iride color della corniola, pareva che si facessero scoloriti e smorti per lo smarrimento. Ma, nonostante, essa non pensava a fuggire.
 

Il sedicesimo giorno quando il contadino entrò nella stalletta e s'avvicinò al covo, vide una testolina vispa che apparì per un momento di sotto l'ala della starna e subito vi rientrò sotto: era il primo nato, che già s'era liberato dal guscio e già s'affacciava fuor dal covo per chiedere un po' di becchime.

In quel giorno e nella seguente nottata nacquero tutti e quindici: e quando, la mattina dopo, Sandro andò con grande ansia a visitar la covata, vide per la stanza il fuggi-fuggi dei pulcini impauriti che s'andavan tutti a celare sotto le ali della madre.

Fermo fermo in un cantone, ei potè poi vederli tornar fuori: ora la starna aveva finalmente abbandonato il covo e girellava coi suoi quindici piccoli intorno; questi, nati da un giorno, già zampettavano e saltellavano, e quasi pareva che fuggissero via strisciando come topolini: e come già, coi vivi occhietti color del rubino, sapevano scorgere tra mattone e mattone qualche seme da beccare! Erano all'incirca simili a pulcini di chioccia, ma più piccoli e più grigi: e anche più agili e più diffidenti, per quella vivacità ribelle che gli, animali fatti alla libertà portan nel sangue.

 

E crebbero, nutriti in prigionia dalla provvida mano di Sandro. Ma la starna madre non aveva più, ora, quando l'uomo le si avvicinava, quella apparenza di spaurito abbandono, che trema sì, ma non fugge e non resiste. Ora s'era fatta battagliera: appena vedeva il carceriere, indietreggiava in un angolo, chiamandosi intorno la prole cori brevi appelli risoluti: e arricciava le piume del collo, con ira spavalda e drizzava quelle quattro pennuccie che aveva sulla testa, là dove hanno la cresta le galline: e si fogava a chi troppo s'avvicinasse, cogli occhi accesi da una fiamma di sangue.

In quanto ai piccini erano intrattabili come lei: Sandro perdeva mezz'ore ad aspettare, dopo aver posato in terra un po' di becchime, che gli starnottini venissero a mangiarlo in sua presenza per poi abituarsi a beccargli in mano; e qualcuno si avvicinava, sì, con lentezza cauta, fino a coglier nel becco un chicco di miglio... ma appena se l'era conquistato, via! come un lampo verso la madre, sbattendo i sommoli delle aluccie per correr di più.

 

Amavano essi il chicco di miglio, ma odiavano chi lo porgeva. Si vedeva, ecco, che non eran bestie da pollaio: pensavano alla libertà che non avevano mai goduto e al sole che non avevan mai visto se non come uno scialbo riflesso filtrante giù dal finestrino chiuso.

E forse, nelle ore in cui la madre starna restava sola, a colloquio coi piccini entro la stanza semibuia, essa, con quel suo linguaggio fatto di rapide sonorità quasi metalliche, raccontava loro la storia di certi paesi incantati ov'era stata un giorno: paesi pieni di scintillìi di sole, ove, da mattina a sera, si saltella per distese infinite di prato o si vola per spazi infiniti di cielo; ove si razzola, colle zampine, nella terra ch'è arsa al di fuori, ma, sotto la crosta, è umida e fresca e serba i bacolini saporiti; ove i semi non si trovano così, senza fatica, tutti in un mucchio, ma si scoprono ad uno ad uno, con tanta emozione, sotto i cespugli delle mente e dei fiori cappucci: e la notte, sotto il tremolìo delle stelle, si sta a sentire i sussurri delle cavallette.... E i piccini pensavano a quella strana terra come a una regione di sogno, e sentivano che le loro ali, già valide a sostenerli, eran fatte per quei magici spazi: e li pungeva, in un inquieto desiderio di moto, il rimpianto di quello che non avevano avuto mai...

 

Come accade agli uomini, certe volte: che provano inesplicabilmente la nostalgia di lontane plaghe ove non sono mai stati, quasi esse fossero unite al loro cuore da misteriosi vincoli, lasciati da un'altra vita vissuta prima di questa.

 

IV

 

Sandro sull'aia lavorava a raccomodare un rastrello che gli s'era smanicato nel l'ammucchiare il fieno asciutto: e, mentre la Menica tendeva il bucato alle viti aiutata dalla Giannina, egli raccontava il grande amore che le starne hanno per le loro creature.

— e come son birbe, poi!

Se qualcuna in una stoppia ci ha i pulcini che non sanno ancora volare, appena vede, che qualche cacciatore si avvicina alla su' volta..via! comincia, lei sola, a pedina', a pedina', (7) chiotta chiotta in fondo a un solco: e quand'è lontana qualche ventina di passi, dagli a canta'!
Giannina stava a bocca aperta a sentire, ma Sandro s'interruppe per dire:
— Giannina, va' nella stanza della buricca a piglia' 'l martello, che questo manico non torna.
La bimba scappò di corsa verso casa: e non udì che il babbo le gridò dietro:
—Attenta, nell'apri' l'uscio!... Per benino, che non scappin le starne!

 

Giannina arrivò alla stalletta, spalancò l'uscio con foga puerile e corse all'impazzata verso un angolo della stanza, ove sapeva che il babbo teneva gli arnesi: prese il grosso martello, troppo pesante per la sua piccola mano... Ma, prima ancora di volgersi per tornare, dovè dare uno scossone per un gran rumore che si levò dietro a lei, rombo improvviso di tante ali fuggenti: addio addio, starnottini, sulla via dei liberi cieli!..

 

La bimba capì il malfatto: mandò un urlo di disperazione e saltò, senza posare il martello, per chiudere l'uscio aperto e rattenere almeno qualcuno dei fuggitivi meno veloci.... Fu un lampo: già la sua mano stava per trovar l'uscio, quando le sventolò vicino il soffio sonoro di un'ala e un turbinio di penne le si lanciò contro la faccia. La bimba non capì... alzò, quasi instintivamente, il martello che aveva in mano e tirò un colpo alla cieca contro quel pericolo che minacciava i suoi occhi.... Ed ecco: la starna madre, che s' era fogata contro la bimba per protegger la fuga dei figli, stramazzò sull'impiantito, ferita a morte da quel braccìno fatto gagliardo dalla paura.

 

Tutto era finito, ormai.

Gli starnotti con un frullo unanime di voli giovani e vittoriosi, viaggiavano ora pei cieli, riconoscendo dall'alto, con uno stridio selvaggio di gioia, le stoppie che non avevano mai viste: e lì nella stanzetta semi oscura, dinanzi alla bimba immobile che guardava cogli occhioni lacrimosi ora la porta spalancata ed ora ai suoi piedi il pavimento, dinanzi ai conigli che per meglio vedere pigiavano il musino alle maglie della rete, la povera starna vecchia si torceva convulsamente, sfregando a terra le ali impolverate, colla testa reclinata, agonizzante: morta in prigione, essa, la madre, per donare la dolce libertà ai figli giocondi che non si sarebbero più ricordati di lei.

           

 


 

1) Seme di cipolle

2) Passata si chiama quel rialto di terra ch'è tra solco e solco

3) "o che avete trovato"

4) Sono funghi mangerecci che nascono sulle ceppaie di pioppo: il pioppo nel senese, si chiama oppio.

5) Somarello

6) Si chiamano saettoni, in Valdichiana, certi serpenti in realtà innocui, detti comunemente biacchi, al dir de' contadini, si lancian dalle siepi sugli uomini come saette.

7) Così chiamano i cacciatori il camminare a passi brevi e affrettati di certi gallinacei selvaggi, come la starna e la quaglia.