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...che questa terra, tutta fatta dall'uomo, dai suoi sudori, dalle sue fatiche, per secoli e secoli, per generazioni umili e tenaci, splendida perché sempre sottovoce e mai a gola spiegata, con un'aria che l'avvolge come se fosse una sua atmosfera privata e non quella di tutti, con un cielo che è come una pittura a tempera, che quando è limpido traspare, e quando non è limpido reca nuvole di panno e di feltro, dense, quasi non contenessero pioggia né grandine né neve, ma fossero l'esatto contrappeso di questa terra secca e dura...

Io la guardo, in una giornata che sembra di vedere anche attraverso le montagne azzurrine, così azzurrine là all'orizzonte, così limpide all'orizzonte: è fresco ancora, il grano sembra tratteggiato a mano come quando da bambini si fa (o si faceva) le aste, e le viti non hanno messo, e gli ulivi vengono potati, diradati, sembrano fatti di fiato più che di foglie: e mi dico, ma è proprio vero che queste cose non debbano dir niente più a nessuno, che non ci sia tempo per fermarsi a guardare?

 

 

Fermarsi a guardare delle cose che non cercano di farsi guardare, e non sembra neppure che siano fatte per essere guardate: sono filari, sono cipressi, sono prati, sono campi lavorati. C'è una ragione in tutto questo, uno scopo, un utile. E tu invece li guardi, ti fermi lì, e quasi a bocca aperta, come fosse uno spettacolo meraviglioso: un attimo di sospensione, uno jato felice fra ieri e domani, in cui ad un tratto l'oggi t'attraversa e si ferma: qualcosa che merita di essere vissuto.

Né si consuma.

 

 

Frammenti da

"Addio Toscana", in Aria di Siena

Cesare Brandi