Fonte Gaia

Fonte di S. Francesco

Fontebranda

Fonte dei Pispini

Fonte d'Ovile

Fonte del Casato

Fonte Nuova d'Ovile

Fontanella

Fonte di Pantaneto

Fonte delle Monache

Fonte San Maurizio

Fonte di Follonica

 
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L'importanza dell'acqua per l'uomo è sempre stata fondamentale, in particolar modo nel periodo medievale perché‚ gli usi che ne facevano erano svariati e comprendevano quello artigianale (per macinare il grano, lavorare il cuoio e le pelli, per la gualcatura della lana e in seguito per la produzione della carta), quello alimentare (per bere, per cucinare e per abbeverare gli animali), quello agricolo e quello igienico. L'acqua veniva poi utilizzata per spegnere gli incendi che, nell'antichità, erano purtroppo molto frequenti.

Siena - a differenza di molte città, non soltanto italiane, sviluppate sulle rive di un fiume - nasce sulla cima di tre colline in una posizione meno malsana e più difendibile dagli attacchi nemici, ma molto distante da grossi corsi d'acqua. I fiumi intorno a Siena, infatti, o sono lontani (Merse, Elsa, Ombrone) o, seppur vicini, avevano una portata d'acqua assai scarsa in certi periodi dell'anno (Arbia, Tressa, Staggia).

Da qui la necessità per i Senesi di ricorrere alla costruzione di fonti limitrofe alla città che sfruttassero vene esistenti o addirittura vecchie fonti o pozzi di epoca romana o etrusca.  

Le fonti Senesi non essendo utilizzate esclusivamente per scopi alimentari, si caratterizzavano per la loro essenziale funzionalità: per questo motivo le fonti erano per lo più suddivise in tre vasche di raccolta, collocate a vari livelli di altezza. Quella collocata più in alto, che riceveva l'"acqua nova" che sgorgava dal muro, rappresentava quella che oggi chiameremmo l'"acqua corrente" da utilizzare per bere e cucinare. La seconda vasca si alimentava dal "supero" della prima e, essendo meno pulita, serviva per abbeverare gli animali. Nella terza, collocata in basso, si potevano lavare i panni senza rischiare di sporcare le altre. Il trabocco finale, poi, veniva utilizzato per scopi artigianali (ad esempio per lubrificare le mole degli arrotini) o per innaffiare i campi circostanti. I due bacini, indistintamente, servivano poi come perenne riserva d'acqua in caso di incendi.

Fu nelle valli che trovarono ubicazione le fonti: questo perché‚ l'acqua che vi sgorgava veniva (ed è) raccolta da piccole vene del sottosuolo tramite acquedotti sotterranei, che a volte si allontanavano per chilometri dalla fonte stessa. E' ovvio che, in mancanza di mezzi idraulici adeguati, l'acqua poteva scorrere solo per la forza di gravità, dall'alto in basso, e quindi lo sbocco finale (la fonte) doveva trovarsi nel luogo più in basso.

Inizialmente le fonti erano tutte situate fuori dalle mura cittadine, che nel tempo, ampliandosi, le hanno ricomprese quasi tutte. Riguardo alle caratteristiche estetiche ed architettoniche, le fonti furono, nel tempo, coperte con delle volte per proteggere l'acqua raccolta nel bacino dagli agenti atmosferici (pioggia, vento...) e dall'incuria della gente che, abituata come oggi a gettare l'immondizia giù dalle scarpate, avrebbe potuto inquinarle.
Inoltre, sopra le volte, si cominciarono a costruire delle merlature rendendo così le fonti delle vere e proprie fortificazioni avanzate (bicocche), cioè gli antiporti della città. In più furono assegnate, alle principali fonti, delle guarnigioni di soldati, permanenti o meno, con lo scopo di difenderle dai nemici che, distrutta la fonte e tolta l'acqua alla città, avrebbero messo facilmente in ginocchio la popolazione senese.
Oltre ai militari vi erano dei custodi pagati dal comune che avevano il compito di sorvegliare la fonte ed il suo bottino e di far rispettare le leggi, che erano al tempo molto severe in quanto l'acqua era un bene ritenuto indispensabile; c'era ad esempio il divieto di sporcare l'acqua, di fare un uso improprio dei bacini, di usare recipienti sporchi per riempirli d'acqua, di gettare rifiuti nell'acqua, di non introdursi nei bottini e così via. Talvolta, se la colpa era particolarmente grave, si poteva arrivare a punire il trasgressore anche con la pena di morte: si racconta infatti che una donna, accusata nel 1262 di essere una strega e di aver cercato di avvelenare l'acqua, venne letteralmente "squartata" davanti all'intera cittadinanza.

Le fonti medievali di Siena sono dei veri e propri capolavori architettonici, arrivati fino a noi nella loro bellezza originaria: si possono ammirare per il centro storico o per le aree verdi a ridosso del'ultima cerchia muraria. Sono alimentate da una rete di 25 Km di gallerie scavate nella sabbia, che raccolgono le infiltrazioni d'acqua dai terreni della campagna circostante e la trasportano in città: un gioiello di ingegneria idraulica tre-quattrocentesca, ancora oggi funzionante, che ha consentito a Siena di avere una grande disponibilità di acqua nonostante l'assenza di un fiume, e di diventare una delle città medievali più ricche e popolose d'Europa.

Alcuni tratti di queste vie d'acqua, detti "Bottini" per la forma "a botte" della volta, sono visitabili previa prenotazione.

 

Alla scoperta dei "Bottini"
Questa tecnica di approvvigionamento idrico non ha uguali nel mondo. Certo, le gallerie drenanti sono utilizzate da millenni nelle oasi del Medio Oriente e nel Nord Africa, ed in Europa sono state utilizzate fin dai tempi degli Etruschi e dei Romani, tanto che esempi simili si trovano anche a Tarquinia, Veio, Caere, ed in alcuni piccoli borghi della provincia di Siena. Solo a Siena, però, i bottini sono associati ad uno sviluppo urbano, ed hanno consentito di costruire una delle città medievali più belle e ricche, che poteva competere con quelle costruite su un grande fiume come l'eterna rivale Firenze.

Le prime testimonianze storiche di gallerie usate per l'approvvigionamento idrico di Siena risalgono al 394 d.C., ma i grandi lavori iniziarono nell'XI secolo per rispondere alle esigenze di una popolazione in espansione. Quando si individuava la presenza di acqua, come una piccola sorgente, si iniziava a scavare una galleria che seguiva la vena d'acqua, risalendo con una lieve pendenza, tenendosi sempre tra i due strati che formano le colline senesi: uno superiore di sabbia, che filtra l'acqua piovana, e l'altro sottostante di argilla, che la trattiene. Sono le le sabbie e le argille sedimentate sul fondo di un antico mare. Si tratta di suggestive gallerie ad altezza d'uomo, scavate nella sabbia o rivestite con una volta di mattoni l'acqua scorre in un piccolo canale (gorello), fatto di docci di terracotta. Nel tratto finale, prima di sfociare nella vasca della fonte, passa dalle vasche di decantazione (purgatori o galazzoni).

Un gioiello di ingegneria idraulica che ha rappresentato per Siena l'unica fonte di acqua potabile fino alla prima guerra mondiale e ancora oggi funzionante. Tuttavia, nei tratti più lontani dalle fonti, a 4-5 Km a nord della città, i bottini sono a rischio di interramento, a causa delle frane, della penetrazione di radici, dell'accumulo di fango nel gorello. Questo sistema di approvvigionamento idrico richiede infatti una notevole manutenzione. Da diversi anni, però, l'Associazione La Diana opera per il recupero, la manutenzione e la valorizzazione di questo patrimonio.

Alcuni tratti di questo straordinario mondo sotterraneo sono visitabili, (l'Associazione La Diana fornisce le guide per la visita ai tratti aperti alle visite turistiche) ma bisogna avere la pazienza di prenotare con largo anticipo. La scelta è tra i bottini di Fonte Gaia, Fonte Nuova d'Ovile e Fonti di Pescaia, dove si può anche visitare il Museo dell'Acqua.

Si tratta di suggestive gallerie ad altezza d'uomo, scavate nella sabbia o rivestite con una volta di mattoni, in cui l'acqua scorre in un piccolo canale centrale (gorello), fatto di docci di terracotta. Nel tratto finale, prima di sfociare nella vasca della fonte, passa dalle vasche di decantazione (purgatori o galazzoni).

Nei bottini possiamo anche incontrare delle targhe che indicano la quantità di dadi che poteva ricevere un certo utente: il dado era un forellino al centro di una piastra che sbarrava il canaletto di derivazione, e si potevano avere contratti per 1/2 dado, 1, 2, 3 dadi. Queste targhe risalgono all'ottocento, quando le famiglie più ricche, che avevano abitazioni vicine al percorso dei bottini, si allacciavano all'acquedotto ed avevano l'acqua "in casa", mentre il resto della popolazione doveva continuare a recarsi alla fonte pubblica.

Queste sono le uniche modifiche che i bottini hanno subito da quando sono stati costruiti.

I bottini consentono anche di immergersi nelle antiche leggende, come quella della Diana, il grande fiume sotterraneo che i senesi hanno sempre cercato, tanto che in due punti della città credevano di sentirne il rumore, meritandosi di essere presi in giro da Dante nella Divina Commedia.

Altre leggende riguardano gli abitatori dei bottini, i gioiosi homiccioli ed i dispettosi fuggisoli, che venivano avvistati dagli addetti alla manutenzione che venivano pagati in vino e venivano chiamati "guerci" perché quando tornavano in superficie erano accecati dalla luce.

Le fonti in epoca medievale hanno svolto un ruolo di enorme importanza per la città di Siena, che andava ben oltre la semplice fornitura d'acqua alla popolazione e agli animali, essendo indispensabili anche per il funzionamento dei mulini e per le operazioni di conciatura e tintura dei panni.

Le Fonti a Siena, non soltanto rappresentano episodi notevolissimi di architettura gotica, interpretati in maniera originale - le grandi arcate fortemente sestiacute sono quanto mai "senesi" -, ma costituiscono la parte visibile di una complessa e ardita rete sotterranea di acquedotti, i Bottini appunto, che adducevano acqua alla città da sorgenti lontane molti chilometri (verso il Chianti), un capolavoro di ingegneria idraulica medioevale troppo poco conosciuto.
 

 
     
 

Fonte Gaia

 

Si ha notizia della presenza di una fonte in piazza del Campo dalla metà del XIV secolo, periodo in cui si completa la costruzione di canali sotterranei ancor oggi esistenti, chiamati "bottini", che provvedevano a portare l'acqua dalle campagne circostanti fin dentro la città, creando nel sottosuolo di Siena una vera e propria rete di gallerie rivestite di mattoni, opera di notevole valore artistico e ingegneristico. Nel 1409 il Comune commissiona il rifacimento della fontana preesistente al grande scultore senese Jacopo della Quercia, che termina i lavori nel 1419. A causa del grave deterioramento dei marmi originali, nell'Ottocento viene decisa la loro sostituzione con una copia eseguita da Tito Sarrocchi (1858); i resti dei rilievi originali sono attualmente conservati all'interno dell'Ospedale di Santa Maria della Scala. La fontana ha la forma di un grande bacino marmoreo, con i lati in pendio che assecondano la pendenza della piazza, ornato da rilievi inseriti entro nicchie rappresentanti la Madonna col Bambino, protettrice della città, posta in posizione centrale, le Virtù, la Creazione di Adamo e la Cacciata dal Paradiso Terrestre, e infine da due sculture femminili a tutto tondo, non riprodotte nella copia ottocentesca, probabilmente raffiguranti Acca Laurentia e Rea Silvia (nutrice e madre di Romolo e Remo). La scenografìcità della concezione architettonica e la sintesi tra linearismi gotici e monumentalità classica dei rilievi, tra gli esempi più notevoli della produzione dello scultore senese, rendono la Fonte Gaia uno tra i monumenti pubblici più importanti del primo Rinascimento toscano, che purtroppo la freddezza della copia del Sarrocchi e il deterioramento dei marmi originali ci impedisce oggi di apprezzare appieno.

E' la fonte collocata alla altitudine più elevata: trae infatti l'acqua dalla zona nord fuori della città, lungo un crinale che non incontra valli o depressioni.
L'acqua che non viene utilizzata giunge, tramite bottini più o meno praticabili, a valle della fonte stessa, alimentando le seguenti fonti: Pantaneto, S. Maurizio, Casato, Pispini.

 

 

 

 

 

 

 

 
     
 

Fontebranda

 

Fontebranda è una fontana di Siena, inserita nel Terzo di Camollia, nel territorio della Nobile Contrada dell'Oca e nella conca di Vallechiara, a poche decine di metri dall'omonima porta di Fontebranda.

Aperta sulle mura edificate nella metà del secolo XIII e all'interno del quartiere abitato sin dal primo Medioevo dagli artigiani dell'Arte della Lana, la cui organizzazione produttiva necessitava di un copioso approvvigionamento idrico.
Fontebranda è menzionata fin dall'anno 1081 e ampliata da Bellamino nel 1193, poi ricostruita in mattoni e travertino da un tale Giovanni di Stefano nel 1246 nelle forme attuali.
Fontebranda è certamente la fonte più imponente e ricca d'acqua ma è senza dubbio la più famosa in quanto citata da Dante Alighieri nella Divina Commedia (Inferno XXX, vv. 76-78).
Nei pressi della fonte è nata e vissuta santa Caterina da Siena, che per questo è chiamata la santa di Fontebranda.

La fonte è caratterizzata da tre ampie arcate gotiche ogivali sormontate da merli e una fila di archi ciechi con motivi triangolari. Il frontale è ornato da quattro zampilli leonini con al centro lo stemma di Siena.
All'interno, oltre la vasca di contenimento dell'acqua, si snodano nel sottosuolo di arenaria oltre 25 kilometri di condutture, in parte scavate ed in parte murate denominate "bottini" per la particolare forma delle gallerie con volta a botte alte circa 1,75 m e larghe 0,90 m. Oggi è possibile percorrere a piedi questi cunicoli dove l'acqua piovana, raccolta in un piccolo canale intagliato nel camminamento denominato "gorello" scorre con una inclinazione di un metro per ogni kilometro fino a raggiungere le fonti cittadine dalle sorgenti collocate nella campagna senese.
Uno dei due rami principali dei bottini ed il più antico è quello maestro di Fontebranda, lungo 7,5 km. che da Fontebecci e dal ramo di Chiarenna nella zona nord di Siena scorre a notevole profondità.
Fontebranba era originariamente formata da un susseguirsi di tre vasche di cui la prima era destinata a contenere l'acqua potabile e la seconda, oggi interrata alimentata tramite il trabocco dalla precedente era utilizzata per l'abbeveraggio degli animali e la terza era utilizzata come lavatoio.
Infine le acque di risulta venivano usate dai conciatori e nei laboratori dell'Arte dei Tintori e dai mugnai come forza motrice nei mulini dislocati lungo il suo corso.

 

 

 

 

 

 

 

 
     
 

Fonte d'Ovile

 

La Fonte d'Ovile, situata presso l'omonima Porta, risale al XIII sec. ed è interamente realizzata in mattoni, con due arconi ogivali sulla fronte e uno laterale e coperta con doppia volta a crociera. Sulla destra dell'edificio è presente l'abbeveratoio per gli animali ancora in buone condizioni, mentre il lavatoio non esiste più. Sembra che questa fonte fosse andata a sostituire una più antica situata più in alto in un luogo imprecisato. Operaio ai lavori fu Ciano di Pietro ed una lapide, oggi scomparsa ma trascritta dal Pecci, indicava la data 1262 per la costruzione della fonte.

 

 

 

 

 

 

 

 
     
 

Fonte Nuova d'Ovile

 

Fonte Nuova d’Ovile (così chiamata per distinguerla dalla Fonte d’Ovile, poco fuori dall’omonima Porta) fu progettata da Camaino di Crescentino e Sozzo di Rustichino verso la fine del XIII secolo (tra il 1295 ed il 1298) e portata a termine nel 1303.

Il luogo della sua edificazione, all’interno della cerchia muraria, (nel punto dove sboccava il bottino proveniente dal pozzo degli Umiliati) la rendeva molto importante in caso di assedio e fu scelto da una commissione composta anche dai famosi Giovanni Pisano e Duccio di Buoninsegna.
La fonte, uno degli esempi più illustri di architettura gotica senese, edificata interamente in laterizi, presenta oggi due archi a sesto acuto nel fronte principale ed uno sul fronte laterale. Lo spazio interno è suddiviso in due grandi vasche coperte con volte a crociera.
In un secondo tempo furono costruiti abbeveratoio e lavatoio e, legati a questa fonte e al consumo dell'acqua, sorsero nella zona attività artigianali (XIV-XV secolo), come un mattatoio per la lavorazione della carne e una conceria per la lavorazione delle pelli. Tuttavia, la costruzione di un bottino per portare le stesse vene d'acqua verso Fonte Gaia, determinò la diminuzione della portata e quindi la decadenza.
La struttura colpisce per l'eleganza e la robustezza dei suoi archi a sesto acuto, in evidente contrasto con la parte superiore ormai da tempo diroccata.
Il bottino di alimentazione, tuttora funzionante, è visitabile su appuntamento: è lungo 610 metri e si sviluppa interamente all'interno alle mura.

 

 

 

 

 

 

 

 
     
 

Fonte di Pantaneto

 

Il problema dell’approvvigionamento idrico è stato da sempre al centro della storia di Siena e anche la Fonte di Pantaneto, nel corso della sua storia lunga cinquecento anni, ha avuto una vicenda travagliata e complessa, caratterizzata da momenti di splendore e di rovina. Fino al 1400 gli abitanti della zona di Pantaneto erano costretti ad attingere l’acqua alla Fonte di Porta Romana o a quella di San Giusto nel Rialto. Per ovviare a questa scomodità, più di una volta hanno fatto richiesta al Consiglio Generale della Repubblica di Siena perché costruisse una nuova struttura. Nel 1452 il Consiglio autorizzò la costruzione specificando che la metà delle spese sarebbero state a carico degli abitanti della zona; il Priore del Convento di San Martino, proprietario di numerosi fondi che si aprivano su Pantaneto, avrebbe offerto la bottega di un falegname a questo scopo; nel 1457, dopo varie vicissitudini, i promotori si offrirono di coprire interamente la spesa e la fontana fu finalmente costruita.


Nella celebre pianta incisa da Francesco Vanni nel XVI secolo la troviamo raffigurata come una semplice nicchia in muratura, sulla quale successivamente venne posta una scultura marmorea che rappresentava la testa di una donna anziana, da cui la denominazione di “Fonte della vecchia di Pantaneto”. Gli ultimi anni del Settecento e i primi del secolo successivo videro numerose famiglie dell’aristocrazia cittadina impegnate nella riqualificazione dei loro palazzi; tra queste, il nobile senese Vinceslao Malavolti, dopo aver ristrutturato Palazzo Sozzini, rivolse le sue attenzioni alla Fonte di Pantaneto, per la quale dette incarico all’architetto Agostino Belli; nel 1807 questi realizzò un ardito progetto in stile neoclassico, con un’architettura dalle dimensioni monumentali caratterizzata da un’arcata centrale impostata su un colonnato dorico; la vasca centrale, sopraelevata rispetto al piano stradale, venne successivamente decorata con un gruppo statuario composto da un carro di Nettuno circondato da quattro tritoni, realizzato da Antonio Zini.


Una fonte cosi concepita, decorata di fragili ornati, era sicuramente di difficile manutenzione e sottoposta all’usura di coloro che vi si recavano ad attingere l’acqua senza troppi riguardi; i numerosi interventi di manutenzione non furono sufficienti nel tempo a frenare il degrado a cui era giunta e a fine secolo versava in condizioni trasandate e non degne di una strada ricca e nobile come Via Pantaneto. Per questo motivo, nel 1866, nell’ambito di una campagna di restauro delle fonti cittadine intrapresa dall’Amministrazione Comunale, l’Ingegner Girolamo Tarducci fu incaricato di riprogettare la Fonte; un tecnico specializzato in ingegneria ferroviaria non ebbe molti scrupoli a demolire la Fonte del Belli, e la trasformò in una sorta di cannnella appena un po’ elaborata e decorata, preoccupandosi soprattutto delle esigenze funzionali a scapito dell’estetica.
La Fonte è rimasta in questo stato fino al 1997, quando la Contrada del Leocorno, nella figura del priore Lorenzo Bassi, ha provveduto ad una ristrutturazione che le ha donato nuovamente eleganza e prestigio, grazie agli interventi dell’architetto Carlo Nepi che ha ripristinato la presenza dell’acqua con la realizzazione di due vasche, e dell’artista Francesco Carone che ha scolpito due cannelle bronzee a forma di testa di Unicorno, in modo da connotare questo oggetto come “Fonte del Leocorno” a tutti gli effetti.

 

Da: Ecomuseo Siena

Bibliografia:

La Fonte di Pantaneto, Quaderni de Le Fonti di Follonica, Siena, Tipografia Senese, 1997.

Contrada del Leocorno, Tesori e memorie di Contrada, Siena, sd Siena distribuzione srl, 2007.

Autore scheda: Contrada del Leocorno, Simone Carloni

 

 

 

 

 

 

 

 

 
     
 

Fonte San Maurizio o Fonte del Ponte di Romana

 

Detta anche Fonte di Samoreci, si trova lungo il percorso della Via Francigena, in prossimità del Ponte di Romana, fuori dalla vecchia Porta di S. Maurizio.
Era alimentata da un trabocco di Fonte Gaia e quindi è posteriore ad essa, edificata nel 1343. L'aspetto attuale non però è quello originario, nonostante il recente restauro.
Il manufatto, probabilmente nato come cisterna privata alla fine del XII secolo, venne trasformato agli inizi del Trecento in fonte pubblica, per arrivare al Cinquecento quando furono realizzati l'abbeveratoio ed il lavatoio, oggi non più esistenti.
Nel 1844, a causa della continua rovina della vasca dovuta al passaggio di barrocci, il Provveditore della Regia Camera ordinò l'apposizione di colonnine per ostacolare il passaggio dei mezzi, ma non quello delle bestie: all'epoca era infatti molto frequentato, essendo uno dei due abbeveratoi della città, assieme a quello di Fontebranda.

 

 

 

 

 

 

 

 
     
 

Fonte di San Francesco

 

La fontanina della Nobil Contrada del Bruco è ciò che resta dell’antica Fonte di San Francesco, giunta fino a noi dopo numerose vicende che ne hanno cambiato il suo aspetto originario.
Di questa antica fonte cittadina non conosciamo con precisione l’anno di costruzione, ma possiamo certamente collocarlo tra il 1342 e il 1417, in quanto il ramo del bottino che la alimenta è lo stesso della Fonte Gaia in Piazza del Campo, finita di realizzare appunto nel 1342 ed inoltre troviamo citata la suddetta Fonte in un atto di compravendita del 7 luglio 1417 relativo ad un edificio postole accanto.


La fontanina si trova alla sommità delle Coste d’Ovile presso i Ferri di San Francesco in corrispondenza dell’incrocio tra Via dei Rossi, Via degli Orti e Via del Comune ed è collocata sotto la strada che conduce alla Basilica di San Francesco, aprendosi sul muro che regge la Via dei Rossi. In origine la Fonte si ergeva molto più alta di adesso, con un arco a tutto sesto e non ribassato come è oggi ed era al centro di un incrocio scosceso di strade . Nel corso del Settecento e dell’Ottocento numerose sono le istanze dei residenti per il mantenimento e la salvaguardia della Fonte, fino a quella dell’11 giugno 1856 che procurerà, fin dall’anno successivo, la definitiva trasformazione della fonte e della zona circostante, per motivi igienici. Verrà infatti demolita la volta, ingrandito il piano stradale soprastante, creato il muro di raccordo tra le due strade con parapetto di protezione composto da colonnini in travertino e ringhiera in ferro battuto e la fonte verrà chiusa definitivamente aggiungendo un mascherone in marmo per permettere la fuoriuscita dell’acqua.

Sostanzialmente e senza particolari aggiunte o modifiche questo monumento resterà così per oltre cento anni fino al 1978. A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, con l’istituzione del battesimo contradaiolo, anche il Bruco, dopo varie soluzioni, cercò di dotarsi di una fontanina per celebrare i propri battesimi. L’attenzione cadde proprio su quel monumento del proprio territorio abbandonato e dimenticato per così tanto tempo che la contrada riportò alla luce riaprendo l’arco e restaurando sia l’interno della fonte che l’esterno con la creazione di una piccola area di sosta con sedile in pietra. Il progetto è dell’architetto Lorenzo Borgogni, mentre il Rettore Mario Menicori sostenne energicamente l’intervento e pensò di collocare l’opera d’arte del maestro Angelo Enrico Canevari, il busto in bronzo raffigurante “Barbicone”, per impreziosire in maniera armonica ed elegante la semplicità della struttura. Nel 2008 la Contrada ha dedicato la Fonte proprio a Mario Menicori.

 


 

 

 

 

 

 

 
     
 

Fonte dei Pispini

 

Il 23 giugno del 1536 la “congregatione et contrada della Abbadia Nuova” dichiara al Comune di Siena di voler realizzare una nuova fonte, che non risponda solo alle esigenze idriche del quartiere ma che possa anche “onorare la dicta contrada”. I nicchiaioli presentano, infatti, già un disegno di quella che, nelle loro intenzioni, doveva essere “un raro et bellissimo fonte” un’opera che diventerà un vanto per l’intera città, introducendo per la prima volta a Siena il concetto di fontana monumentale. La nuova fonte richiede undici anni di lavoro e viene terminata nel 1545.
Il progetto, che alcuni non hanno esitato ad attribuire a Baldassarre Peruzzi, prevede che l'acqua scenda da una tazza superiore ad una inferiore attraverso delle cannelle nascoste all'interno della bocca di alcuni mascheroni.
A Siena lo zampillo d'acqua viene chiamato popolarmente “pispino” o, ancora più frequentemente, “pispinello”, termine probabilmente derivato da “pispolo”, con il quale ancora oggi si denomina la cannella di una fontana. Lo spettacolo offerto da questi “pispinelli” si dimostra talmente inedito, rispetto alla tradizionale tipologia delle fonti senesi, che il nome finisce per identificare l’intero rione, la sua strada principale e la porta aperta nelle mura urbane.
La fonte, posta all’incrocio tra via dei Pispini e via Santa Chiara, nel corso dei secoli viene più volte restaurata e rimaneggiata a causa, spesso, della scarsità di acqua che vi affluisce.
Le sorti della fonte cambiano radicalmente negli anni Settanta dell’800 quando il complesso di Santa Chiara viene concesso all'esercito e trasformato in Distretto Militare, dato che i lavatoi, situati lungo la via d'accesso al complesso, vengono spostati nell'ultimo tratto della via dei Pispini, nei pressi della Porta (dove sono ancora oggi). Nel 1937 la caserma di Santa Chiara, per favorire l’entrata e l’uscita degli automezzi dal distretto, chiede e ottiene di spostare la fontana, che viene collocata in piazza Santo Spirito. Solo il 22 giugno 2001 la fonte è stata restaurata è riposizionata nel luogo in cui era stata costruita in origine.
 


 

 

 

 

 

 
     
 

Fonte del Casato

 

Chiamata anche Fonte Serena, si trova lungo il margine del Casato di Sotto, dal quale si scende per due tratti di scale. Risale al 1352 la petizione degli abitanti al Comune per ottenere la realizzazione di una fonte, struttura indispensabile per fornire l'acqua alle abitazioni. E' noto infatti che solo nelle dimore gentilizie e dall'alta borghesia potevano esistere risorse individuali quali pozzi o cisterne. I lavori di costruzione furono conclusi nel 1359. Ancora oggi la Fonte si presenta nel suo aspetto originario. Questo è caratterizzato dal prospetto in pietra in cui si apre un grande arcone profilato di nero, sorretto da dei capitelli gotici a fogliami. L'ampia parete è dominata dalla Balzana, emblema bianco e nero del Comune senese.

 


 

 

 

 

 

 

 
     
 

Fontanella

 

Ubicata lungo la via che prende il nome della Fonte, in prossimità della Chiesa di San Giuseppe, fu detta anche degli Eremiti o Fonte di Sant' Agostino poiché alla base del colle del Convento. E' molto antica: più antica certamente della Fonte del Casato, perché i documenti la attestano già esistente nel 1263; fu trasformata subito dopo, nel 1268. Numerose registrazioni documentarie riferiscono notizie di lavori di manutenzione e ampliamento quasi ininterrottamente fino al 1481, allorché il Comune volle realizzare un nuovo arco di prospetto. A differenza della Fonte del Casato che è in pietra, questa è in laterizio: di non poca suggestione per essere ubicata in luogo poco visibile e remoto, e per il pittoresco affacciarsi della verdeggiante massa del colle di Sant'Agostino.

 

 

 

 

 

 

 

 
     
 

Fonte delle Monache

 

Situata a ridosso della cinta muraria, nascosta da una fitta vegetazione all'interno di un orto e abbandonata da molti anni, la Fonte delle Monache è stata riportata alla luce nel 1994 da un gruppo di soci dell'associazione "La Diana". Nel 1998, con l'aiuto della Scuola Edile, che collaborò al recupero, al consolidamento e al restauro, non solo della fonte ma dell'intera area, i lavori furono portati a termine. Attualmente è l'Associazione che si occupa della gestione dell'area.
Il nome di Fonte delle Monache deriva dal fatto che fu costruita per gli usi quotidiani delle monache di clausura che vivevano nel vicino convento di Sant'Agnese, fondato nel 1273 e successivamente denominato, prima, "delle Sperandie" (dal nome di una delle fondatrici, da cui anche il nome della strada in cui il convento si trovava) e, dal 1537, "delle Trafisse del cuor di Maria". Un documento del 1328 ci informa che, a questa data, furono disposte 30 lire per una fonte ad uso del convento, che fu quindi presumibilmente costruita verso la fine degli anni Venti del Trecento e dotata di una lunga scalinata che consentiva un collegamento interno al convento, invisibile dall'esterno. Tra il 1866 e il 1868, a seguito delle soppressioni napoleoniche, il complesso fu trasformato in presidio militare, destinazione che tuttora mantiene.
Come la vicina fonte dell'Orto botanico, la Fonte delle Monache riceveva acqua da un canale (bottino), che aveva un percorso autonomo, non collegato con la rete idrica della città, ad una profondità di 20 metri sotto il livello degli edifici soprastanti, con una portata d'acqua di quasi due litri al minuto. Disponeva di tre entrate, ancora esistenti, una delle quali era riservata alle suore che non potevano rompere la clausura. La più grande delle quattro vasche, che misura quasi 16 metri quadrati per circa 70 cm di profondità, doveva essere ad uso esclusivo delle monache e disponeva di un piano inclinato per lavare i panni.
Nella parte più bassa dell'area verde, vi è una piccola cappella, ritrovata in pessime condizioni poiché era stata utilizzata per anni come deposito per gli attrezzi; sulla sua facciata si legge l'anno di costruzione, il 1697. Si trattava probabilmente di una cappella cimiteriale ad uso del convento, come dimostra il ritrovamento di resti di ossa umane. La cappellina, ora restaurata, è un edificio ridotto e molto semplice ma con una sua dignità. L'altare, in stucco, è sormontato da un rilievo con santi e angeli mentre, sulle pareti, si scorgono resti di decorazioni pittoriche, probabilmente ottocentesche.

 


 

 

 

 

 

Altre immagini

 
     
 

Fonte di Follonica

 

Luogo: Valle di Follonica

Contrada: Contrada del Leocorno

Denominazione: Fonti di Follonica

Data/periodo: prima menzione 1226

Descrizione: Si presume che il nome della Fonte di Follonica e dell’omonima valle derivino dal fatto che qui lavorassero i gualchieri e i tintori di panni detti “Fullones”.

La prima menzione della Fonte la troviamo nel più antico libro di Biccherna giunto fino a noi e datato 1226. Fin da quella data la Fonte era già iscritta con il nome di “Fonte di Follonica” e si parlava di una fonte “antica” e di una “nuova”.

La Fonte di Follonica era una delle più belle e importanti fonti della città, con il paramento murario in facciata, oggi solo parzialmente visibile, formato da filari di quattro mattoni alternati a ricorsi di conci di travertino; una particolare tipologia muraria, non utilizzata in altre fonti, caratteristica nelle architetture dell’edilizia senese tra la metà del Tredicesimo ed i primi decenni del Quattordicesimo secolo.

La Fonte era organizzata in ambienti distinti e comunicanti fra loro mediante il sistema del trabocco. Uno o più bottini portavano l’acqua al bacino principale, posto più in alto rispetto alla seconda vasca, dedicata all’abbeveramento delle bestie e infine ci era il lavatoio. I costruttori avevano inoltre previsto un fontino per lavare i recipienti prima di attingere l’acqua da bere e dei canali di scolo per le acque degradate.

Il pavimento del fondo della Fonte era di coccio pesto e l’interno in laterizi. Intorno alla prima vasca vi sono parapetti bassi in pietra che portano ancora evidenti i buchi sui quali poggiavano le transenne per non far avvicinare gli animali all’acqua potabile.

Nel 1247 il Comune ordina di realizzare la copertura a volte e stanzia fondi per il tetto al di sopra delle volte; altri lavori fra il 1249 ed il 1253, fra i quali i più importanti la platea antistante ed un forte muro a retta per sostenere la terra del poggio di Santo Spirito.

Negli anni settanta del Duecento, dopo la sconfitta dei Senesi da parte degli Angioini nella battaglia di Colle del 1269, furono innalzate delle merlature, costruita una “bicocca” dotata di armati e venne chiusa la porta antistante la fonte, detta Porta di Follonica.

Fu dopo la terribile peste nera del 1348 che le Fonti di Follonica persero parte della loro utilità, anche in seguito alla decimazione della popolazione, a vantaggio di altre fonti più facilmente raggiungibili nel centro città.

Nel 1492 fu ideato da Comune un progetto di recupero del quale si sarebbe dovuto occupare Francesco di Giorgio Martini, ma il lavoro non fu mai realizzato nonostante fossero stanziati anche dei fondi per il restauro della fonte.

La successiva incuria e la mancanza di opere di manutenzione comportarono un sempre più evidente stato di abbandono e di degrado, soprattutto per i continui smottamenti dei greppi sui quali sorgevano gli orti dell’Abbazia Nuova.

Nel 1509 la Fonte e il terreno annesso divennero di proprietà privata con la donazione da parte di Pandolfo Petrucci (Signore di Siena dal 1497 al 1512) ai Frati di Santo Spirito e la fonte da questo momento scompare sia dagli atti del Comune che addirittura dalle cartografie, un fatto che testimonia il suo quasi completo interramento, fino al Settembre 1903, quando in un verbale una Guardia Comunale riferisce che i proprietari  stavano rimuovendo il paramento murario antistante gli archi, per cui il Comune, visto lo stato della Fonte, dette ordine di fermare ogni intervento di distruzione e smantellamento.

Bibliografia: 

Bargagli Petrucci F., Le Fonti di Siena e i loro acquedotti, 1906.

Serino V. (a cura di), Siena e l’acqua: storia e immagini di una città e delle sue fonti, Siena, Nuova Immagine Editrice, 1998.

Valenti M. e Tronti C. (a cura di), La fonte di Follonica e le fonti medievali di Siena [Risorsa elettronica], Siena, 2004.

Altre fonti: Scheda ICCD di riferimento: ASBAP Si e Gr: scheda di catalogo n. 00495177 (compilata da M. Dei, 2006).

Note: Negli anni Settanta il Dipartimento di Archeologia Medievale s’interessò dell’angolo Nord-Est, ma gli scavi finirono presto perché appena tre metri e mezzo sotto il calpestio fu rinvenuta una falda acquifera.

Dal settembre 2003 il Comune di Siena, in collaborazione con il Dipartimento di Archeologia e di Storia delle Arti, ha iniziato con una serie di scavi e ricerche che si sono conclusi da poco ed hanno portato a capire come era fatta l’originaria costruzione e quale bellezza architettonica possedeva, ma soprattutto a liberarla completamente dalla terra che l’aveva ricoperta nel corso del tempo.