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Bacino alluvionale della Foenna

 

 

 

Immagini e breve storia di una colmata  

 

 

 

 

Leonardo, nella sua splendida e dettagliatissima “pianta a volo d’uccello” della Valdichiana, segna il promontorio, su cui sorge Foiano, come spartiacque.

A sinistra, una sorta di fiume, disegnato più marcatamente per differenziarlo dalle acque stagnanti, proveniente dai monti di Cortona, si dirige verso Arezzo.

A destra, la Foenna e l’Esse alla sua sinistra, sembrano proseguire uniti e serpeggianti sotto la superficie del grande lago, alla volta di Roma.

 

 

Nel 1525, quando Bettolle era poco più di un piccolo villaggio di confine della Repubblica di Siena, la vicina comunità di Foiano (in territorio fiorentino), deliberò di cedere la parte dei propri terreni impaludati (terreni considerati della comunità perché si era persa la memoria di chi fosse stata la proprietà, questo lascia capire lo stato di abbandono e la qualità dei possessi) ad Ippolito dei Medici a patto che questi provvedesse, a proprie spese, ai lavori di bonifica. 

Il Medici accettò la proposta e, in tempi rapidissimi, la cessione fu regolarizzata con un contratto.

Il contratto prevedeva alcuni vantaggi. Per esempio era previsto che la comunità ricevesse ogni anno uno staio di grano per ogni staioro (Lo staioro era un’unità di misura variabile da zona a zona e corrispondente ed un’estensione di terreno sufficiente per seminarvi uno staio di grano; pari a mq 525 ca.) di terreno prosciugato; che per i lavori di bonifica e di coltivazione fossero utilizzati gli uomini di Foiano; che fosse consentito il pascolo nei periodi liberi da colture, ed altri piccoli vantaggi che avrebbero permesso alla gente di vivere un po’ meglio, senza però, nel contempo, dare troppo fastidio alla nuova proprietà.

 

L’esempio di Foiano fu seguito nel decennio successivo, con gli stessi intenti e speranze, da Castiglion Fiorentino, che cedette i suoi terreni paludosi a papa Clemente vii, al secolo Giulio dei Medici (e zio di Ippolito), e successivamente da Cortona, Montepulciano, Chiusi e da quasi tutte le altre comunità della valle. In breve, la famiglia Medici, divenne proprietaria di tutti i terreni immediatamente a ridosso del Chiana, tra Arezzo e Chiusi.

I lavori di bonifica ebbero inizio e continuarono in modo più organico e deciso che in passato, soprattutto dopo la fine della “Guerra di Siena”, ma le cose non andarono esattamente come avrebbero voluto i donatori. I Medici non rispettarono in alcun modo le clausole dei contratti di donazione: non pagarono mai quanto previsto dalle carte, si appropriarono di svariati ettari di terreno delle comunità e spesso richiesero contributi per le opere di bonifica. Se a questi particolari si aggiunge la drastica diminuzione delle zone lacustri, con la conseguente riduzione dei proventi delle attività connesse, come la pesca, la raccolta delle canne , ed il traghettamento , quello che emerge è un quadro a dir poco disastroso, tanto da far apparire l’idea della donazione dei terreni come la peggiore che la gente della Valdichiana avesse mai avuto. Tuttavia occorre dire che senza quegli atti di donazione la valle sarebbe rimasta paludosa, probabilmente, per molto tempo ancora. È difficile infatti ipotizzare un’impresa, per realizzare la quale furono coinvolte le più grandi menti del tempo, molte delle quali convintissime dell’impossibilità di bonificare la valle, se non ci fossero stati gli interessi diretti della famiglia al potere.


A proposito dei lavori, Vittorio Fossombroni, ritenuto l’artefice massimo della bonifica, spiega nelle sue Memorie idraulico-storiche..., che il metodo più ovvio per liberare un terreno dall’acqua stagnante è quello di creare un’apertura per farla uscire ; poi aggiunge che un altro metodo, ugualmente valido e naturale, consiste nell’immettere nei territori allagati altre acque contenenti fango e detriti e di lasciarle decantare in modo da alzare il livello del terreno.
Questo secondo metodo era detto “delle colmate” e fu quello più largamente usato in Valdichiana, in particolar modo a partire dalla metà del xviii secolo.

 

Schema di colmata:

1 - ingresso acque torbide nella prima vasca di decantazione;

2 - passaggio nella seconda vasca di decantazione;

3 - uscita acque chiarificate

 

 

Le Colmate sono l’essenza stessa della Valdichiana. Un tempo nelle campagne si diceva: «l’acqua piove chiara e va via turbola», o anche «con la mota».

Un modo di dire che potrebbe essere la rappresentazione poetica del processo di colmata.  Il termine “mota”, per indicare il fango, è in uso nel versante senese, mentre in quello aretino si usa la parola “loto”, con la prima o chiusa.  In breve la colmata ha lo scopo di dover «sanare una campagna allagata».

La maniera più ovvia, per liberare un terreno dalle acque che vi ristagnano, può sembrare quella di farle uscire procurando loro una via di fuga, per mezzo di «escavazioni di canali», rotture di argini o terrapieni, su un terreno posto più in basso, realizzando una bonifica per essiccazione. Se però intorno all’area allagata non ci sono terreni più bassi, dove far defluire l’acqua in modo naturale, è necessario forzarla con l’immissione, nella zona allagata, di acqua contenente materiale torbido, il quale, essendo più pesante dell’acqua, tenderà a depositarsi nel fondo, facendo alzare il livello e costringendo le acque chiare superiori a disperdersi nei terreni circostanti. Tecnicamente questa è la bonificazione per alluvione, normalmente detta Colmata.

 

Le Colmate possono essere di due tipi: naturali o artificiali. A quelle naturali ci pensa la natura quando «un fiume, che spaglia a suo talento in una campagna, e la va sollevando colle sue torbe senz’altra legge, che quella dettatali dalle circostanze locali, che invitano le sue acque piuttosto in questa parte che in quella». Le seconde invece si formano regolate da una arginazione artificiale, normalmente di forma rettangolare, sulla quale vengono lasciate «una o più aperture aggiustatamente praticate negli argini, dalle quali le acque stesse escono depurate dalle torbe depositate in Colmata». A processo terminato, il terreno utilizzato per l’operazione, normalmente molto esteso, si presenterà rialzato rispetto a quelli circostanti e, per il tipo di materiale con cui è stato formato, provenienti dai boschi delle colline circostanti, risulterà eccezionalmente fertile e, quindi, in grado di produrre colture molto più abbondanti rispetto a quelle fatte negli altri terreni.

 

Parte finale della bonifica

Nel 1816 Vittorio Fossombroni, responsabile della bonifica della Valdichiana, conosce a Parigi Alessandro Manetti, il quale aveva studiato architettura a Firenze e a Pisa, e ora si stava perfezionando presso la Scuola Imperiale di applicazione dei Ponti e delle Strade, dimostrando una attitudine particolare in materia di idraulica. Percependone le qualità, lo fece assumere come ingegnere del territorio presso la Direzione della bonifica di Arezzo, affidandogli subito il compito preciso di realizzare la rilevazione idraulica e livellazione completa della Valdichiana.
Un incarico che di fatto rompeva con la tradizione del passato che aveva visto fino ad allora la materia gestita da matematici e ingegneri generici. Con questa scelta il Fossombroni fece fare un importante passo ai lavori della bonifica.
Nella sua posizione di vice del Fossombroni, Alessandro Manetti partecipa, nel giugno del 1820, ad  incontro molto importante a Città della Pieve, tra una delegazione dello Stato Pontifico e una del Granducato di Toscana, al termine del quale furono stabiliti non solo gli interventi comuni da fare, ma anche come dovevano essere fatti. C’erano stati altri incontri, ma questa era la prima volta che fra i due Stati si parlava la stessa lingua.

L’accordo fu raggiunto e stampato in tutte le parti l’anno seguente a Roma a cura del Vaticano. Queste le prime righe dell’introduzione: «L’Ecc.mo Sig. Cardinal Consalvi Segretario di Stato della Santità di Nostro Signore Pio Papa VII felicemente Regnante con foglio del 18 Febbraro 1820 fece intesa la Sagra Congregazione delle Acque, che la Imperiale Real Corte di Toscana desiderava, che venissero spediti due Ingegneri Pontificj in Val di Chiana per concertare cogl’Ingegneri Toscani Signori Federico Capei, ed Alessandro Manetti un Progetto relativo ai lavori occorrenti per bonificare il Piano della Biffa, e per appianare d’accordo le difficoltà insorte colle note antecedentemente scambiate fra i due Governi per gli scoli delle Bozze Chiusine […]»

 

Il documento segna anche la fine di un’altra storia, quella del doppio impaludamento, iniziato nell’alto medioevo e che aveva portato alla formazione di un bacino nel quale le acque, dalla zona compresa tra Foiano e Cesa si dirigevano verso nord, mentre da quella compresa tra Foiano e Bettolle si orientavano verso sud. Al centro di questi due bacini l’acqua se ne stava praticamente ferma. Ma ecco che con il Concordato veniva ufficializzato il nuovo corso delle acque: tutto rivolto verso nord «Siccome la Valle di Chiana ha due pendenze una verso il Tevere, e l’altra verso l’Arno, e la divisione di queste due pendenze fu fissata coll’Argine di separazione dal Concordato del 1780, così si formano due Quadri, il primo partendo dall’Argine di separazione progredirà verso il mezzo dì per la Valle che scola nel Tevere; il secondo partendo dal medesimo Argine progredirà verso Tramontana per la Valle che scola nell’Arno».
Dopo di che vengono anche stabiliti alcuni dati tecnici. «Le distanze nel senso della lunghezza in ambedue i Quadri incominciano dal mezzo dell’Argine di separazione nel punto ove questo è intersecato dal confine fra i due Stati Romano, e Toscano, e dove pure hanno principio i due Canali, che scorrono nel mezzo delle due Valli.

 

 

“Livellazione generale delle Chiane eseguita per la prima volta negli anni 1820 e 1821”, conservata nell'Archivio di Stato di Firenze e messa online dalla Regione Toscana. La carta di Alessandro Manetti presenta una doppia scala di riferimento: una per le misure orizzontali ed una per quelle verticali. Questo metodo di rappresentazione ha permesso all’autore di disegnare una altimetria molto accentuata rendendo chiari i riferimenti con il territorio, che non sarebbero stati altrimenti apprezzabili, dal momento che, in realtà, il dislivello, per esempio, dal Porto di Bettolle alla Chiusa dei Monaci, è di appena 12 braccia fiorentine, che corrispondono a 4,5 metri su una scala orizzontale di 32 chilometri circa.

 

 

In questi anni (1821) si lavora molto non soltanto a sud del lago di Chiusi, ma anche a nord del Callone di Valiano e nelle valli degli affluenti, in particolare quella della Foenna. Nell’area dei Prati di Sinalunga (oggi conosciuta come Le Prata), si realizzano canali di scolo che portano le acque oltre il molino di Montemartino, mentre dalla parte opposta si lavora per bonificare completante il territorio compreso tra il molino e Poggigialli, detto il Piano del Busso.

Nel 1827 Vittorio Fossombroni, non più giovane, lascia la Soprintendenza a Federico Capei, ma non rinuncia al piacere di accompagnare Leopoldo II nel suo primo viaggio in Valdichiana in veste di Granduca. E il piacere deve essere stato reciproco, perché nel suo diario Leopoldo scrive: «Venni nella Chiana, era a me guida e compagno il vecchio Fossombroni che l’aveva risorta e ne aveva scritto». E poi prosegue: «Era piovuto la notte, vidi le acque dei fiumi e dei rii raccolte in assegnati recinti, ferme a posare la terra rubata, e domandai che fosse… disse il Fossombroni: sono le colmate, le arene d’oro del Pactolo di cui gli scolari di Galileo, Viviani e Torricelli si servono per far rinascere la valle». Nelle pagine del diario della terza visita del Granduca in Valdichiana effettuata nell’estate del 1836, si leggono note che fanno pensare ad una vicinanza notevole con il Manetti, perché alcune osservazioni si ritrovano espresse, praticamente con le stesse parole, nel libro che l’ingegnere darà alle stampe quattro anni dopo. Una di queste, per esempio, è quella relativa ai pericolosi argini alti dei corsi d’acqua: «Percorsi la Foenna altissima sulla campagna sotto Bettolle, tanto che, nelli argini affiorati dalle piene, la superficie a pelo delle acque corrispondeva ai primi piani delle case dei vicini poderi». Ed ancora: «Guardando la giacitura delle valli era pur singolare che la maggior parte delle acque piovane dalla parte di ponente ed alcune ancora dalla parte di levante, correvano verso mezzogiorno, ossia verso Roma». Se si considerano gli sforzi fatti e tutti gli interventi sul Canale Maestro, per far defluire l’acqua verso Arezzo, non era un problema di poco conto. In fondo però la causa era ben nota: «la Foenna con le colmate sue era arrivata alla Madonna del Ponte presso a Valiano»; e si trovava vicino al Canale Maestro che però non era in grado di riceverla, o per meglio dire non poteva sopportareil peso delle torbe e del materiale terroso che si portava dietro.

 

Altri torrenti concorrevano a rendere problematica la bonifica della zona. Da alcuni appunti dalle relazioni di Leopoldo II si legge: «Del Salarco era eguale la condizione: questo correva in ghiaia e di continuo traboccava; correva esso a destra della Foenna, colmava sulle gronde del lago di Montepulciano, il lago si gonfiava e le sue escrescenze erano sostenute dal Callone di Valiano. Il Salcheto faceva egual via del Salarco: le sue acque chiarificate le doveva condurre il Canal Maestro in direzione opposta e quasi parallela a quella dei menzionati fiumi. Dalla parte di levante, le Reglie del Musarone, Chianacce e il Rio di Paterno, non trovando luogo dove colmare, erano condotte a disperdere i fanghi sopra i campi fertili», creando delle sopraelevazioni. «Di questi depositi di terra, lungo il Canale ve ne erano nei pressi degli «Spagliatori delle colmate della ricca Foenna».

Molti problemi affliggono il territorio, in primo luogo quello delle piene della Foenna che invadono i terreni già bonificati per mezzo delle colmate fatte con il Salarco e che tendono a disperdersi ovunque «sino alla lontana via di Valiano» e dopo verso “Le Chiarine” (Piccolo lago collegato a quello di Montepulciano che si era ingrandito con le piene della Foenna.).

La canalizzazione della Foenna verso il lago di Montepulciano, tecnicamente, sarebbe stato possibile e avrebbe risolto parzialmente il problema, ma sarebbe stato necessario far passare le piene per terreni coltivati con danni enormi e, per arrivare fino al lago, sarebbero stati necessari argini molto alti a partire dal piano tra Sinalunga e Torrita. «Un fiume potente e torbido quale è la Foenna non può consigliarsi che si contenga in un alveo di sproporzionata inclinazione, ed è ben noto che anche nelle presenti sue condizioni stanno in allarme continuo i possessori ad esso limitrofi. Ben altri timori nascerebbero e con essi dei giusti e virulenti reclami, quando si volessero, senza corrispondente oggetto, aumentare le probabilità dei disastri» (cit. Manetti).

 

 

 

Le acque della Foenna nuova e di altri torrenti nei terreni tra Bettolle e Foiano della Chiana, gennaio 2014.

 

 

Quella intorno al Callone di Valiano era una zona soggetta a periodici allagamenti in larga parte causati proprio dalla Foenna, come prova un documento di fine settecento riportato dal Fossombroni ed al quale non viene dato carattere di eccezionalità, segno evidente che non si era trattato di un fatto episodico: «io appiè scritto custode della fabbrica del Callone di Valiano […] attesto qualunquemente i regurguiti della Foenna, allorché le sue piene son giunte fino al Chiaro di Montepulciano elevandosi sopra l’attual soglia del regolatore esteriore del Callone sopra mezzo braccio».

Nella stessa zona “sfociava” anche il Salarco, proveniente dalle colline di Montepulciano e che, nell’ultimo tratto, si avvicinava pericolosamente alla Foenna, tanto che si pensò che per prevenire possibili problemi, forse era meglio che fosse «condotto a versarsi nel Chiaro di Montepulciano». E comunque la sua pericolosità la faceva sentire già da alcuni chilometri prima «scorrendo elevatissimo nel piano degli Sciarti [dove] non è infrequente il caso che la piena ne sfiori gli altissimi argini e talvolta trabocchi».

E poi c’erano altri corsi d’acqua minori che nei momenti di grande piovosità davano il loro piccolo ma determinante contributo nell’allagare il piano sotto Valiano.
Tutti questi problemi ne avevano uno di fondo in comune, quello della scarsa pendenza del Canale Maestro della Chiana che non permetteva il deflusso di un’acqua contenente materiale pesante, quale è quello delle piene.

Leggendo queste considerazioni, non è facile capire il perché non si fosse posto rimedio ad una situazione che ormai andava avanti da quasi tre secoli; così come non si capisce perché l’idea del Fossombroni di rialzare il piano nella zona di Valiano, per dare più pendenza al Canale Maestro della Chiana, in modo da permettergli di trascinare senza sforzo le acque torbide contenenti materiali pesanti, non fosse stata ancora realizzata. Ed era passata molta acqua sotto il ponte di Valiano, dal tempo in cui in quella zona c’era una sorta di corridoio che univa lo Stato fiorentino con la città amica di Montepulciano. Una fetta di terreno larga qualche chilometro, servita da un ponte che scavalcava la Chiana, in mezzo al territorio della Repubblica di Siena. Una situazione, questa, che sarebbe stata di sicuro intralcio ai lavori, ma ora che tutto era unificato sotto la corona granducale, non si capisce perché i lavori non venissero fatti.

 

Il suo progetto, ridotto alla linee essenziali, consisteva nel rialzare il terreno di tutta la parte sud della Valdichiana, iniziando dal lago di Montepulciano: «tutta da una falda all’altra delle opposte colline vada sollevandosi la superficie della campagna». Naturalmente era ben consapevole del fatto che nella zona si trovavano quattro grandi fattorie: Dolciano, Acquaviva, Abbadia e Bettolle, ma la sua idea non era quella di «rialzare alcuni terreni, migliorandoli a scapito di altri», come era accaduto quando erano stati «colmati i paduli». Il suo progetto si riproponeva «la sistemazione» di tutta la valle, e se per far ciò occorrevano dei sacrifici, questi li dovevano fare tutti quanti, a partire da coloro che dalla prima parte della bonifica avevano tratto molto profitto.

L’autore stesso però scrive che sarà «poco probabile che considerati i molti interessi, non ci sia qualcuno» il quale abbia in mira il proprio vantaggio, «a preferenza di quello dei rispettivi confinanti e del pubblico  [cioè i beni pubblici]». E che tutto ciò provochi ritardi e cattive applicazioni del progetto «ma questo inconveniente – conclude il Fossombroni – è tutto morale, e l’evitarlo non dipende da matematiche speculazioni». E con ciò chiude l’argomento lasciando aperti i problemi.

 

 

 

Allacciante di sinistra nella Colmata di Bettolle - (Salarco a sinistra e Foenna nuova a destra) -

 

 

Siamo nel 1836 e leggiamo come ormai sia stato deciso di abbandonare il progetto che prevedeva il rialzamento dei terreni a partire dalla zona del lago di Montepulciano, intervenendo parallelamente sulla pendenza della Chiana, per passare ad una serie di lavori zonali: «ora si penserebbe assegnare diversa pendenza ai due tronchi del Canal Maestro: l’uno verso Montepulciano, con poca inclinazione e adatto a condurre acque chiare soltanto, l’altro più inclinato a condurre e le chiare e le torbide insieme». Un approccio nuovo con il problema che il Granduca sintetizza con un’immagine: «invece di linea tutta uniformemente inclinata, una linea spezzata». Fu deciso, a seguito dell'abbandono del progetto di rialzamento, per consentire lo scolo delle acque del Canale Maestro, di riversare in questo solo le acque chiare e di costruire altri due canali entro cui si sarebbero indirizzate le acque torbide. Tali canali, con una pendenza adeguata per poter scorrere regolarmente, sarebbero stati portati a sfociare nella depressione di Brolio, dove i materiali pesanti avrebbero potuto trovare lo spazio per depositarsi, mentre le acque, una volta chiarificate, sarebbero state immesse nel Canale Maestro.
Dal momento che i due canali secondari affiancavano quello principale per un lungo tratto prima di allacciarvisi, furono chiamati Allaccianti e, per distinguerli l’uno dall’altro, furono detti di destra o di sinistra, secondo la loro posizione rispetto al Canale Maestro.

 

Nel luglio dello stesso 1838, Alessandro Manetti fu nominato Direttore dei lavori di Valdichiana. Qualche mese dopo, per sua esplicita richiesta, il Governo granducale legiferò sulla materia, stabilendo che i lavori per la Sistemazione delle acque di quel comprensorio, erano da considerarsi di pubblica utilità. Ciò voleva dire, che non potevano più essere accettate opposizioni di nessun tipo da parte dei proprietari dei terreni interessati dai lavori di bonifica della valle. Tra l’altro, per scoraggiare ogni forma di reclamo, la legge precisava che i lavori fatti eseguire dal Direttore erano «rivestiti della Sovrana approvazione». La dura posizione assunta dalla Direzione dei lavori, che incontrò la simpatia di pochi, era stata dettata dalla necessità di intervenire su una situazione idraulica molto compromessa da anni di colpevole inerzia, molto spesso dovuta ai non pochi favoritismi ed agli ostacoli frapposti ad arte dai proprietari dei terreni.
Tra le molte priorità, erano tre le zone che richiedevano interventi urgenti e radicali. Passandole in rassegna da nord a sud, la prima era quella su cui scorreva il torrente Esse che, portato a colmare ormai da troppi anni nei terreni delle fattorie di Foiano e del Pozzo, aveva colmato a tal punto che le sue acque non riuscivano più a disperdersi nei terreni circostanti, perché erano più alti del suo livello di scorrimento. La seconda situazione delicata era quella della Foenna, che aveva raggiunto da tempo la via di Valiano, ed ora si trovava di fronte terreni già colmati e adibiti alla produzione agricola. Infine la vasta area su cui scorrevano il Salarco ed altri torrenti provenienti dalla colline senesi, i quali, portati da alcuni decenni a defluire nel lago di Montepulciano, ne avevano innalzato il fondale, e ora, non riuscendo più a defluire correttamente, si riversavano nei terreni circostanti.

 

 

 

Scorcio del Chiaro (lago) di Montepulciano

 


I lavori iniziarono quasi contemporaneamente in tutta la valle, e questo dovette comportare un grande affollamento di uomini e mezzi (sicuramente più uomini che mezzi), in particolare nella zona di nostro interesse dove dovevano essere costruiti due canali allaccianti e due nuovi alvei per altrettanti fiumi che era stato deciso di deviare. Un’operazione quest’ultima che, oltre alle normali difficoltà di uno scavo ragguardevole, era concatenata ad altri problemi che derivavano dal nuovo assetto territoriale. Per esempio gli incroci con i moltissimi corsi d’acqua trasversali che si sarebbero trovati a quote diverse da quelle dei nuovi alvei e che, di conseguenza, occorreva farli passare sopra o sotto i canali. Si dovevano anche cercare nuovi sbocchi a tutti quegli affluenti che prima confluivano nei fiumi e che, da ora in poi, non sarebbero più esistiti. Come ulteriore complicazione, alla quale non viene di pensare, c’è il fatto che i diversi corsi d’acqua (e i molti scoli), non si trovavano tutti alla stessa altezza. Ciò comportava la necessità di correggere la direzione di qualcuno di questi, oppure occorreva modificarne la pendenza; in certi casi si doveva pensare anche a come farli o non farli confluire con un altro corso d’acqua e, nel caso, in quale punto.

 

 

 Carta della Valdichina - Foenna vecchia - - - - - - - Foenna nuova - - - - - - -

 

 

I grandi lavori nella zona compresa tra il piano di Sinalunga e il ponte di Valiano iniziarono con una prima sistemazione di quella che verrà definita la Grande colmata della Foenna. Parallelamente cominciarono anche i lavori per la Botte della Fuga di Torrita e del Passo della Fuga sotto la nuova Foenna.

Nel 1850, portati a compimento tutti gli studi, iniziarono i lavori per la deviazione del corso del Salarco, che prevedevano un’ampia curva, dopo la quale proseguiva in modo rettilineo verso nord andando a formare il primo tratto dell’Allacciante di sinistra. Due anni dopo, mentre proseguivano tali lavori, furono presi i necessari accordi, con il responsabile delle Regie Possessioni e con alcuni proprietari terrieri, per l’uso dei terreni necessari all’espansione della Grande colmata della Foenna, il completamento della quale, relativamente alla sola arginatura, richiederà quasi due anni di lavoro.

Dei due allaccianti il più importante è indiscutibilmente quello di sinistra, che raccoglie la maggior parte delle acque del versante senese, compresa la Foenna, le cui «torbidissime acque» furono prese a lungo in considerazione per colmare la vasta pianura del versante cortonese tra Foiano e Creti. Ma il progetto di un canale che sovra passasse quello Maestro, per portare le acque della Foenna a disperdersi alla sua destra, non fu realizzato. A lavori ultimati l’Allacciante di sinistra, così come si presenta anche oggi, dopo aver raccolto le acque dell’Esse tra Bettolle e Foiano, prosegue fino al piano di Cesa dove confluisce nel Canale Maestro.
L’Allacciante di destra, invece, fu costruito immediatamente a ridosso delle colline del versante orientale della valle, partendo dalla zona tra Valiano e Le Chianacce. Secondo il progetto del Manetti avrebbe dovuto proseguire fino al piano di Creti, per poi piegare verso sinistra ed andare ad incontrare il Canale Maestro nella depressione di Brolio. Al momento della costruzione, però, la realtà del territorio era cambiata e, quindi, fu deciso di farlo confluire nell’Allacciante di sinistra non lontano dal congiungimento con l’Esse. Per fare questo fu necessario costruire una struttura di sovra passo sul Canale Maestro, che fu detta Botte dello Strozzo.

 

Per concludere alcuni dati della Valdichiana: la valle è stata prosciugata senza sollevamento meccanico. [...] 185 chilometri quadrati di cui 80 strappati alla palude, sono difesi da oltre 630 chilometri di arginature».

 

Testi tratti da: Quaderni Sinalunghesi

Collana della Biblioteca Comunale di Sinalunga

- Il lato senese della Chiana, l'ultima colmata della Foenna -

a cura di:

Emanuele Grieco, Ariano Guastaldi, Lucia Mazzetti

 

 

 

Alcune fotografie dell'attuale Valdichiana e Foenna nuova