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Abbazia di Santa Maria Assunta a Coneo

 

Percorrendo la strada che unisce Casole a Colle di Val d'Elsa, tra il tracciato collinare della via Francigena e la via Volterrana, attraverso Quartaia, poco prima del bivio con la strada statale 68, sulla sinistra, una stretta stradina porta all'Abbazia di Santa Maria Assunta a Coneo.

Sorge in posizione isolata ed è una delle chiese più belle e meglio conservate e forse anche meno conosciute del territorio valdelsano. Venne fondata intorno all'anno 1000 e subito adottò la regola benedettina.

 

Il più antico documento riguardante l'abbazia è il suo registro necrologico dal quale è possibile estrarre delle informazioni sulla vita interna del monastero.

L'aggregazione alla riforma vallombrosana avvenne tra il 1073 e il 1076; nei capitoli dell'ordine convocati nel 1095 e nel 1100 il priore dell'eremo di Conèo era presente e nel registro necrologico risulta che il 15 gennaio 1086 qui morirono Pietro monaco vallombrosano e vescovo di Pistoia e suo fratello Placido.

Dopo il passaggio all'ordine vallombrosano si decise di innalzare una nuova chiesa abbaziale, chiesa la cui costruzione iniziò sicuramente dopo il 5 maggio 1108 e che venne intitolata a Santa Maria e consacrata nel 1124 alla presenza dei vescovi di Volterra, di Anagni e di Acqui. Il vescovo di Volterra era anche il proprietario del monastero e sappiamo che alla metà del XII secolo era retto da un abate di nome Ugo che venne confermato nel suo ruolo il 23 aprile 1179 da papa Alessandro III e nel 1195 l'abate si chiamava Ildebrando.

 

Nel periodo a cavallo tra il XII e il XIII secolo l'abate di Conèo ricoprì spesso ruoli di grande importanza nella società colligiana e da essa ricevette spesso delle donazioni: il 25 giugno 1197 l'abate Bonato ricevette in dono dei beni posti a Montegabbro e Circiniano da un ricco colligiano e da sua moglie alla presenza di Buoninsegna console del comune di Colle; ancora nel 1224 l'abate di Conèo venne chiamato a far da giudice e paciere in una contesa che vedeva contrapposti il frate minore Paolo e l'arciprete Zanghello per stabilire chi dovesse predicare nelle chiese colligiane. Nel 1254 per ripianare i debiti contratti dal vescovo volterrano nei confronti dei banchieri senesi l'abbazia di Conèo fu costretta a dare in pegno a questi ultimi i suoi beni ma nonostante ciò alla fine del XIII secolo le rendite dell'abbazia erano ingenti del tutto paragonabili ad altri ricchi monasteri valdelsani come dimostrano le decime pagate nel 1276 che ammontarono a 23 lire e 7 soldi, cifra salita a 35 lire l'anno successivo mentre tra il 1296 e il 1303 pagarono ogni anno quasi 35 lire.

 

Per tutta la prima metà del XIII secolo il cenobio fu sottoposto ai Signori di Picchena, che il 14 dicembre 1324 fecero nominare il nuovo abate che ricevette un giuramento di fedeltà da parte dei rettori delle chiese di Santa Margherita a Dometaio, San Pietro a Montegabbro, dei Santi Giusto e Andrea a Picchena e dal priore della Badia del Sale, tutte chiese dipendenti da Conèo. In seguito i rapporti con i Signori di Picchena si fecero difficili e l'abbazia chiese aiuto alla Repubblica fiorentina, che interessata ad espandersi nella zona fu ben felice di intervenire.

 

Tra il XIV e XV secolo l'abbazia iniziò a decadere e fu data in commenda ma non fu un'ottima scelta visto che nel 1427 risulta: « il commendatario poco o punto si curasse della mantenimento delle fabbriche, e soltanto si mantenesse un abate, un monaco salariato con lire 8 annue, ed un fante con lire 12.»

Nel XVI secolo la commenda passò anche al cardinale Alessandro Farnese futuro papa Paolo III e agli umanisti Paolo Cortesi e Aonio Paleario.
Nel 1576 la vecchia badia era diventata una parrocchia da cui dipendevano 30 famiglie per circa 150 abitanti e possedeva dei beni per 400 ducati e i cui patroni furono prima Giovanni Francesco Lottini vescovo di Conversano poi a Giuliano Marucelli parente del cardinale Farnese e infine all'abate pistoiese Lelio Tolomei. Dopo la creazione della diocesi di Colle Val d'Elsa la chiesa ne divenne una dipendenza e fu elevata a pieve con 7 chiese suffraganee.
Gli abitanti della parrocchia di Coneò erano in costante aumento tanto che alla metà del XVIII secolo si ritenne necessario effettuare dei lavori di adeguamento che interessarono sia l'interno che l'esterno.
La chiesa venne totalmente restaurata tra il 1920 e il 1922, in quell'occasione col contributo economico del comune di Colle vennero rimosse tutte integrazioni barocche e l'edificio fu riportato allo stile romanico. Oggi, a causa dello spopolamento delle campagne e per una diminuita pratica religiosa, la chiesa è quasi sempre chiusa e perciò poterla visitare all'interno è molto difficile.

 

Architettura

L'architettura riprende elementi derivati dall'arte monastico-borgognona (semicolonne pensili della facciata), forse dovute alla vicinanza con la strada Francigena e altri di influsso artistico lombardo, come nel tiburio. E' realizzata interamente in blocchi di bianco travertino.

Sulla destra della facciata, arricchita da arcatelle cieche, rimangono gli avanzi dell'antico chiostro che era situato anteriormente alla chiesa. Ad esso appartengono le due semicolonne sormontate da capitelli: uno è decorato con un uccello dal lungo collo e grande becco, inserito tra due foglie di palma stilizzate, l'altro da due figure umane, una maschile e una femminile (forse Adamo ed Eva) separate da un albero (forse l'albero proibito).

Sui fianchi, lungo tutto il sottotetto della chiesa, si notano una serie di arcatelle cieche sorrette da mensoline e coronate da una cornice con tralci, intrecci e animali; altre decorazioni rivestono esternamente anche il tiburio.

Nella facciata vi sono ornati in pietra a semplici motivi lineari alternati da croci e figure leonine. Ma la particolarità della chiesa sono le bellissime testine umane stilizzate, scolpite a tutto tondo e tutte diverse tra loro.

L'interno si presenta ad unica navata a croce latina sul tipico modello delle chiese vallombrosane . Lo spazio tra l'aula e il presbiterio con i transetti è separato da un arcone a risega poggiante su semicolonne pensili, motivo tipico delle chiese vallombrosane fiorentine.
La zona del presbiterio è suddivisa in tre sezioni ben distinte: le due sezioni laterali formate dai bracci dei transetti che presentano una volta a botte e l'abside profondamente incassata nella muratura a sacco.
L'aula ecclesiale è coperta a capriate in bella vista. Sulla parte destra è posto il portale che dà accesso al monastero e tre monofore molto simili ma disassate rispetto a quelle sulla sinistra. Addossate alle pareti laterali vi sono delle semicolonne che presentano dei capitelli con pulvini molto sporgenti.

Una volta entrati in chiesa i primi due che si incontrano sono quelli che decorano le semicolonne al centro della navata e mostrano entrambi due figure di oranti o forse di cariatidi divise da una colonna e vestite con tuniche di diversa foggia; le figure di sinistra rappresentano due monaci minacciati da un serpente. I capitelli posti per sostenere l'arcone centrale presentano una decorazione a fogliame ma hanno i pulvini decorati a racemi e fiori a cinque punte. Tutti gli altri capitelli presentano una semplice decorazione a fogliami.

 

 
     
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