1

 

 

 

 
 

 

 

 
     
 

Home

FotoGallery

 

 
     
 

 

Amiata secolare terra di confine, fra l'impero ed il patrimonium Petri, e poi fra la Repubblica di Siena e il Granducato di Toscana e lo Stato della Chiesa; ma anche terra di transito, percorsa nei suoi fianchi orientali dalla via Francigena, la più importante arteria di collegamento fra il nord e Roma nel medioevo. Amiata terra di natura ma anche terra di cultura, ricca di storia, ricca di beni culturali: centri storici, rocche, chiese, ancora non adeguatamente conosciuti.
Nel lontano VIII secolo, intorno alla metà, un nobile longobardo, Erfone, fonda nei fitti boschi di castagno, su un ampio pianoro ricco di fresche acque, l'abbazia di S. Salvatore, abbazia regia che diverrà un importante punto di controllo lungo la sottostante Francigena e che verrà dotata di ampi privilegi da re ed imperatori. I benedettini, sostituiti dai cistercensi agli inizi del XIII secolo, iniziano la loro instancabile opera di evangelizzazione e di bonifica del territorio della montagna: strappano terreno al bosco, lo coltivano, fondano celle, pievi e castelli.

 

Un po' di storia

Il 15 maggio 742 nella città di Chiusi viene firmato il Diploma inviato ad Erfone, primo Abate Benedettino, munito di "mero e misto imperio", col quale Re Rachis volle che fosse dotato di vasti possedimenti il Monastero da lui fondato. Secondo recenti studi condotti da W. Kurze, dell'Istituto Storico Germanico di Roma, la conclusione della fase iniziale dei lavori e la prima consacrazione della chiesa possono essere datate tra il 762 e il 770, ma l'inizio della costruzione del Monastero, ad opera dell'Abate friulano Erfone, deve essere anticipata di qualche anno rispetto al 762.

Da una pergamena dell'anno 770 si attinge la notizia che l'Abate Erfone di v.m. era morto e seppellito "nella Chiesa di S. Salvatore sul M. Amiata che aveva edificato dalle fondamenta".

Nell'autunno dell'anno 800, Carlo Magno sostò nel Monastero amiatino durante il suo viaggio a Roma per esservi incoronato da papa Leone III, nella notte di Natale. Fu costretto a sostarvi perché i suoi soldati erano ammalati di peste. Furono i monaci con delle erbe medicinali del luogo a salvarli. Tra queste erbe la "scarlina" o "carlina" che cresce dove non vegeta il castagno ed è così chiamata proprio forse in onore di Carlo Magno. Egli l'avrebbe sperimentata come antidoto alla peste, ottenendone risultati sorprendenti. Secondo la leggenda, all'imperatore, meditabondo, apparve in visione un angelo che gli disse di salire il monte (Amiata) e dal punto dove fosse giunto scagliare liberamente una freccia. L'erba trafitta dalla punta di questa doveva essere arrostita, ridotta in polvere, mescolata al vino e data agli appestati come bevanda salutare.
"La carlina (Carlina acaulis, delle Composite) si presenta come una piantina a foglie spinose, strisciante sul terreno. Il fiore, un capolino difeso da brattee argentate, differisce da quello del cardo solo per il colore. Le sue radici, grosse come quelle della cicoria, sono dolci". Una iscrizione che si trovava nella cappella preesistente alla attuale chiesa della Madonna del Castagno conferma questo fatto con le parole: "Ascendi, o viatore, la strada che dal monte conduce, ivi troverai l'erba di Carlo Magno che salvò il suo esercito dalla peste, e che guarisce da ogni infermità". In questa occasione Carlo Magno, riconoscente, volle arricchire l'Abbazia di un vasto territorio: dalla cima del Monte Amiata al fiume Paglia.

In una pergamena del monastero del 4 maggio 876 viene stipulato un contratto, ove per la prima volta viene menzionata la "Via Francigena" nei pressi di Callemala.

 

Negli anni 900 sorse il Castrum Abbatiae (l'attuale Castellina) con il suo Borgo medioevale, raccogliendo la popolazione dai vicini villaggi: San Giovanni, S. Andrea, Forcole, Fabbri ecc. sia per costituire un valido baluardo contro le incursioni nemiche, in primo luogo degli Aldo Brandeschi, sia perché questa popolazione era attratta dalla posizione di privilegio dell'Abbazia e dalla possibilità di maggior benefici economici. Con l'aumento della popolazione fu allargato il perimetro abitativo che, fino al 1200, si estese lungo direttrici parallele: Corso Maggiore, il Corso di Mezzo, il Corso dei Fabbri. Con l'ampliamento occorsero una nuova cinta muraria e delle strutture fortificate (Torrione). L'ultima porta costruita nella zona accanto al Torrione, è detta Porta Nuova e risale agli anni in cui gli abitanti di  Callemala, dopo il 1278, per motivi di sicurezza, salirono al borgo. Si accedeva al Castello per quattro porte: Porta della Badia o Castello (nord), del Cassero (ovest), della Porticciola (sud), del Torrione (est). Un ulteriore sviluppo si ebbe tra la fine del 1200 e l'inizio del 1300; partendo dalla Porticciola nacque il quartiere del Borgo.

Dal secolo X al secolo XII l'Abbazia ebbe il periodo di maggior estensione con i suoi territori che andavano dall'Amiata fino all'Argentario, da Pienza a Cetona e oltre. L'Abate esercitava sugli uomini e sulle cose un vero e proprio governo; amministrava la giustizia civile e penale e a lui vassalli e feudo dovevano pagare dazi e decime.

 

Il benessere e la supremazia dell'Abazia iniziò a decadere con l'avvento degli Aldobrandeschi di Santa Fiora che riuscirono nell'intento di indebolire la potenza dei Monaci portando, tra i sudditi del Castello, il desiderio dell'indipendenza e della proprietà. Iniziò cosi un lento decadimento del pagamento del canone annuo e il rifiuto a pagare le decime e infine maturarono una propria politica, che sfociò nel 1212 con il riconoscimento del consolato permanente nel Castello, sottoscritto dall'Abate Rolando e dai rappresentanti del popolo, i consoli Petacio e Merizio.

Fondamentali furono le concessioni in materia di diritto familiare, con il riconoscimento, da parte dell'Abate, del diritto di lasciare in eredità i beni avuti in concessione, di fare testamento in favore della famiglia, di vendere, donare, impegnare i possedimenti. Ormai nella comunità di Castel di Badia era chiaro il concetto di proprietà.

Approfittando del progressivo indebolimento dell'Abbazia, attaccata successivamente dagli Orvietani e dai Salimbeni di Siena e continuamente minacciata dagli Aldobrandeschi, nel 1293 gli abitanti del Cassero ottengono l'indipendenza assoluta dal Monastero e il diritto di eleggersi i propri giudici.

Nel 1313 nasce il Comune che, sorgendo all'ombra dell'Abbazia, prende il nome di Abbadia San Salvatore

La fine dell'indipendenza arriverà, sia per il Monastero che per il Comune, nel 1378, quando, stanchi di vivere sotto l'incubo continuo di un'invasione da parte degli Aldobrandeschi, chiederanno la protezione di Siena ed entreranno a far parte della Repubblica senese.

 

La Chiesa

Dal centro di Abbadia San Salvatore, percorrendo via Cavour, più o meno a metà, sulla destra troviamo un primo arco - una volta ingresso dell'Abbazia - che ci introduce attraverso un secondo arco in Piazzale Michelangelo dove, sulla destra entrando, troviamo la facciata della Chiesa.

La facciata della Chiesa si presenta alta stretta e fiancheggiata da due campanili uno dei quali incompiuto. Un complesso architettonico molto bello e imponente. La torre campanaria è alta 24 m. con merli terminali. Le torri sono decorate da monofore e da archetti pensili, tipici motivi romanici. Nella parte centrale della facciata, arretrata rispetto alle torri, si apre, sopra la porta di ingresso ad arco a tutto sesto, una trifora fatta probabilmente con materiale originario durante i primi ripristini eseguiti negli anni '20 del secolo scorso. Lo schema architettonico della facciata è l'unico esempio in Toscana, e uno dei pochi in Italia, di West Werk, cioè di prospetto con due torri, motivo derivante dall'architettura carolingia e ottomana.

Di stile romanico, fu consacrata sotto l'Abate Winizzo nel 1035. La Chiesa ha pianta a croce latina, con unica navata coperta con capriate, e presbiterio con volte a botte e a crociera sopraelevato sopra la sottostante cripta.

La soluzione della facciata, lo schema a croce latina che si può ritenere il primo del genere comparso nel senese, forse in Toscana, l'eccezionalità della cripta fanno della Chiesa di San Salvatore uno degli esempi più interessanti dell'architettura protoromanica Toscana.

A metà '600 la Chiesa venne trasformata, seguendo i canoni della "Controriforma", con la demolizione delle prime due campate della cripta e l'ampliamento del corpo longitudinale, riservato ai fedeli, che venne anche sopraelevato. In questa occasione vennero rinnovate le decorazioni e gli altari, secondo il gusto barocco, e affrescato dai fratelli Francesco e Antonio Annibale Nasini il presbiterio.
Gli elementi architettonici barocchi vennero rimossi durante i restauri dell'architetto Bellini della Soprintendenza di Siena nel 1925. I monaci Cistercensi, ritornati nel 1939 all'Abbazia, dopo aver revisionato nel 1963 i tetti ormai fatiscenti, interessarono di nuovo la Soprintendenza ai Monumenti e Belle Arti di Siena perché si intervenisse al più presto con i necessari e urgenti restauri. Ripresi i lavori fu incentivato lo svuotamento della navata centrale che i Monaci avevano già iniziato in proprio; furono rimossi i loculi ancora pieni di ossa ed altre murature ingombranti. Una spessa massicciata, necessaria per limitare l'umidità, venne costruita a circa due metri e mezzo al di sotto della precedente pavimentazione, perché erano venute alla luce soglie, porte e pezzi di pavimento originale. Il nuovo pavimento in cotto fu appositamente ordinato perché si eguagliasse il più possibile al preesistente; le pareti furono discialbate e consolidate nei cedimenti. La ricostruita scalinata nel mezzo della Chiesa per accedere al presbiterio fu poggiata su residui muri preesistenti. Si indagò nelle volte per scoprire eventuali altri dipinti, ma invano. A seguito dei restauri, la nuova unità ha acquistato fascino, bellezza e armonia.

 

L'ambiente sotterraneo costituisce il più consistente residuo della precedente chiesa consacrata alla presenza di 18 tra vescovi e cardinali, tra cui il patriarca di Aquileia. Consta di ben 13 navatelle che si sviluppano sotto il transetto e con un braccio longitudinale s'inoltrano anche in direzione della navata (quest'ultima parte è stata però ricostruita perché demolita dal rinnovamento  del XIV secolo). Modifiche ha subito anche la parete terminale della cripta, che in origine era conclusa da tre absdiole semicircolari divise da sodi nei quali si aprivano delle nicchie in modo da formare specie di celle tricore.

La copertura è realizzata mediante volticciole a crociera con sottarchi che s'impostano su una selva di colonette variamente decorate, oltre che nei capitelli anche nei fusti. Questi ultimi, infatti, raramente sono lisci; per lo più si presentano scanalati, o a sezione ottagonale, o addirittura scolpiti con motivi ornamentali (nastri solcati e intrecciati, croci astili, decorazioni a zig-zag). Fra i capitelli si alternano quelli di tipo lombardo, plasticamente rilevati, e quelli ancora di sapore preromanico, con intrecci viminei e motivi vegetali.

Le dimensioni e la complessità icnografica e strutturale della cripta, che risale all'epoca di maggior fioritura del monastero, esprimono pienamente la potenza raggiunta dalla fondazione benedettina, così come la ricchezza di opere d'arte che in passato, più che oggi, erano nell'Abbazia.

Fra queste emerge per importanza la celebre "Bibbia Amiatina", oggi alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, scritta in nitidi caratteri onciali e con preziose miniature da un "Servando monaco" nel 754. Notevole anche il grande Crocifisso ligneo, opera collocabile nella seconda metà del XII secolo.

Nelle cappelle laterali del presbiterio e nel sottarco dell'arcone trionfale sono poi alcuni affreschi eseguiti nella metà del Seicento dai fratelli Nasini, nel quadro di un "ammodernamento" cui la chiesa fu sottoposta negli anni a cavallo  tra il XVI ed il XVII secolo.
 

 
     
  FotoGallery