Tra Firenze e Siena c'è una terza città che si chiama Chianti. C'è una terza città composta di castelli, di rocche, di torri, di ville, di case "da signore", di case di campagna, di fattorie, di case coloniche, di pievi romaniche, di canoniche, di cappelle, tabernacoli, antiche "badie", per non dire dei molti borghi murati, dei paesi che nacquero in vetta ai colli, a quota di sicurezza, e di quelli che poi si formarono a valle, come "mercatali", laddove s'incontravano le strade più frequentate, laddove si potevano intraprendere più lucrosi commerci.
Sono duemila anni che piace. Piacque agli Etruschi e ai Romani, piacque ai grandi feudatari medioevali, ai signori rinascimentali, piacque al tempo dei Medici e dei Lorena, piacque al tempo dei nostri nonni, e piace tuttora. Piace, è ammiratissimo, celebratissimo, probabilmente è unico al mondo.
Unico nel suo genere. E questo, principalmente, perchè si tratta di un paesaggio agricolo.

Paesaggi alpestri, panorami di montagna, ce ne sono moltissimi e bellissimi in ogni continente: guglie dolomitiche, prati svizzeri, foreste austriache...
E ugualmente molti sono i paesaggi offerti dai laghi, dagli specchi lagunari, dalle baie, dalle scogliere marine. Ma difficilmente si sente parlare della bellezza di un paesaggio agricolo, e questo perché spesso le coltivazioni si susseguono in modo ripetitivo, e la diffusione delle monoculture ha reso quanto mai monotono l'aspetto di molte campagne. Il Chianti, invece, offre ancora oggi l'eccezionale, raro, spettacolo di una campagna variatissima, di una terra ricca di elementi diversi, ed anche di memorie diverse, ed anche di diverso carattere.
Inoltre, mentre generalmente il paesaggio campestre è costituito per lo più dalle sistemazioni agrarie del terreno, nel Chianti predominano gli insediamenti, gli edifici, le opere e le memorie dell'uomo, poiché si tratta di una terra che è stata sempre amata e contesa, di una terra che è stata, ed è tuttora, straordinariamente abitata.

Fiorentini e senesi, vale a dire i "padroni" del Chianti, hanno avuto per la campagna un amore e una cura non diverse da quelle che hanno avuto per le loro splendide, ineguagliabili, città: e allorché decidevano di "murare" qualcosa nei loro poderi si portavano dietro un bagaglio di concezioni urbane, di esigenze culturali ed estetiche, di sensibilità artistica, per cui i poderi finivano per essere arredati come se fossero salotti buoni.
Ci furono guerre, il via vai di cento eserciti, eccidi, saccheggi, per le aspre rivalità tra Firenze e Siena e, il lungo guerreggiare, obbligò le due grandi avversarie a riempire la terra di castelli, a creare rocche e bastioni, a cintare paesi, ad allestire linee fortificate contrapposte. Se da una parte Firenze creava una specie di "linea Maginot" con i fortilizi di Lecchi, Tornano, Cacchiano, Lucignano, Rentennano, il possente Brolio ("quando Brolio vuol broliare, tutta Siena fa tremare"), il Castello di Monteluco. Dall'altra Siena allineava le forti muraglie di Pieveasciata, Cerreto, Sesta, Cetamura, San Gusmè.

Alcuni di questi castelli sono già ricordati avanti del Mille, o poco dopo, in atti di donazione dei marchesi di Toscana: è il caso del Castello di Montegrossi, uno dei punti di maggior forza del sistema feudale, in posizione tale da dominare non soltanto buona parte del Chianti, ma soprattutto la strada che collegava questa regione col Valdarno Superiore. Proprio per questo i fiorentini lo sottomisero nel 1172 e di a poco, con la restaurazione conseguente alla venuta del Barbarossa in Italia, divenne uno dei cardini del sistema di fortificazioni imperiali che, dal Chianti a Fucecchio, doveva controllare la Toscana centrale. Ma poco dopo Firenze tornò in possesso di questo formidabile fortilizio, contro cui si accanirono gli Aragonesi nella seconda metà del Quattrocento, e finì la sua esistenza con la caduta della repubblica fiorentina nel 1530. Oggi il possente Cassero testimonia la grandiosità del castello, a picco su un dirupo artificiale provocato da una cava di pietrisco.