Immagini del matrimonio  
     
 

 

A Bettolle, in Valdichiana, si rievoca quello che rappresentava un momento di festa (nel grigiore e nel sudore quotidiano) delle famiglie contadine:

Il Matrimonio.

 

Un matrimonio contadino in Toscana negli anni '50 era un evento semplice ma carico di significati sociali e comunitari, spesso incentrato su una cerimonia tradizionale e sulla gioia della condivisione.

Si distingueva per la sua rusticità, in contrasto con la vita quotidiana di duro lavoro agricolo, e prevedeva canti, balli e abbondanti cibo e bevande per celebrare la festa e la socializzazione.

La semplicità dell'abbigliamento contadino, con le donne che indossavano abiti cuciti in casa e grembiuli, e gli uomini vestiti con camicie di canapa, rifletteva la loro vita umile. Questi matrimoni erano momenti di festa e svago, dove la comunità si riuniva per celebrare, con i parenti e gli amici che partecipavano attivamente alle celebrazioni.

 

Sin dall’antichità, il matrimonio era preceduto da una serie di atti obbligati per giungere all’unione di due persone e col passare dei secoli vennero previsti nuovi rituali, nella continuità degli antichi. Soltanto nel Concilio di Trento (1545-1563), mentre si riaffermava la sacramentalità del matrimonio, vennero stabilite delle regole che rimasero, come prassi, sino quasi agli inizi del secolo scorso.

Il primo suggello del fidanzamento erano gli sponsali, una promessa di matrimonio, che i parroci di campagna annotavano in un registro sino ai primi del Novecento.

Le proclame matrimoniali, invece erano denunce di matrimonio che si effettuavano nelle chiese delle parrocchie degli sposi, per tre domeniche consecutive, prima della celebrazione della cerimonia, con la finalità di render pubblico il matrimonio e ricercare eventuali impedimenti.

 

I matrimoni, in una società contadina, dove i lavori agricoli erano essenzialmente stagionali, venivano generalmente celebrati nei mesi invernali e primaverili, durante i quali i lavori nei campi erano ridotti, con esclusione dei periodi dell’Avvento e della Quaresima, nei quali vi era il veto ecclesiastico ed occorreva la dispensa del Vescovo.

I testimoni degli sposi, che svolgevano un ruolo meramente amministrativo, sino ai primi anni del Novecento erano scelte dal parroco tra le persone di sesso maschile, più vicine alla chiesa; successivamente gli sposi cominciarono a scegliere i testimoni nella cerchia di parenti ed amici.

L’età media degli sposi era abbastanza alta, da 27 a 30 anni per gli uomini, da 20 a 25 anni per le donne sino al secondo dopoguerra, poi l’età media delle donne iniziò lentamente a crescere, sino ad attestarsi intorno a 25 anni alla fine del secondo dopoguerra.

 

Sino agli anni ’60 del secolo scorso, i matrimoni venivano celebrati esclusivamente di primo mattino dalle 7,30 alle 9,00, poi le cerimonie vennero gradualmente ritardate, sino ad essere celebrate anche nel pomeriggio. Dopo il matrimonio, il parroco annotava lo “sposalizio” nei libri matrimoniali, registri la cui tenuta aveva origini medioevali, nei quali erano riportati la data della cerimonia, i dati anagrafici degli sposi e dei loro genitori ed i dati anagrafici dei testimoni.

Al termine del matrimonio gli sposi si riunivano con parenti ed amici intorno ad una tavolata apparecchiata nell’aia, dove consumavano un pranzo preparato dalla famiglia della sposa poi, nel pomeriggio, la sposa abbandonava la famiglia d’origine e si trasferiva nella sua nuova famiglia, nella casa del marito, dove l’attendeva la massaia e le altre cognate.

L’abito nuziale bianco delle spose, sino agli anni ’50 del Novecento era scarsamente diffuso nelle nostre campagne, così com’era sconosciuta la luna di miele o viaggio di nozze; soltanto dopo gli anni ’60, gradualmente, furono recepite, nelle nostre campagne, le consuetudini che ancora oggi caratterizzano la cerimonia nuziale, ma ormai era finita anche la mezzadria.