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					Là nel mese d'ottobre al dì 
					ventotto  
					
					per S. Simone un giorno 
					ricordato  
					
					si sentiva un padrone in un 
					salotto  
					
					che contrastava come un 
					disperato;  
					
					il quale non vi so dir chi sia 
					più sdotto,  
					
					se l'uno è pazzo, l'altro è 
					disperato.  
					
					E sulle mie ragion convien 
					ch'io canti. Saluto chi mi ascolta e tiro avanti. 
					  
					
					Udite 
					l'argomento tutti quanti,  
					
					un contadino al 
					suo signor padrone  
					
					gli dice: « Non 
					ho vitto e né contanti,  
					
					ho digiunato a 
					doppio S. Simone ».  
					
					Lui risponde: « 
					Poi viene tutti i santi,  
					
					sconta quando 
					facei tre colazione... »  
					
					Lo sfugge, lo 
					rimprovera e minaccia  
					
					e per di più 
					gli chiude l'uscio in faccia; 
					  
					
					con rustiche 
					maniere lo discaccia,  
					
					il contadino 
					brontola e sbadiglia,  
					
					verso la casa 
					riprende la traccia,  
					
					racconta tutto 
					il fatto alla famiglia.  
					
					Al Dio si 
					raccomanda a larghe braccia,  
					
					col figliolo 
					maggiore si consiglia:  
					
					« Datemi i 
					sacchi - risponde Pasquino - 
					
					o bastono il 
					padrone o vo al mulino ». 
					  
					
					Di corsa, come 
					un frate al mattutino, dicendo non è tempo di pensarla,
					 
					
					giunto alla 
					porta picchia ogni tantino,  
					
					con sette 
					sacchi vuoti sulla spalla.  
					
					Il padron 
					s'affacciò da un finestrino, Pasquino disse a lui, con 
					quella balla:  
					
					« Pensi cosa ci 
					fece nell'estate,  
					
					ci lasciò venti 
					libbre di patate ». 
					  
					
					« Tu siei più 
					duro delle cantonate,  
					
					e smetti di 
					picchiar la campanella,  
					
					io presi le 
					raccolte e le altre entrate  
					
					per veder se 
					quel chiodo si cancella ».  
					
					« A costi di 
					finirla a bastonate,  
					
					come fece alle 
					nozze Pulcinella,  
					
					pensi a darmi 
					mangiare io penso a bere  
					
					e attendo alle 
					faccende del podere ». 
					  
					
					« Che bella 
					forza, mettiti a sedere,  
					
					per sete c'è la 
					fonte il fiume e il mare  
					
					e per la fame 
					le famiglie intere  
					
					fuori d'Italia 
					vanno a lavorare;  
					
					tu puoi partire 
					e gli altri rimanere,  
					
					e regolarti 
					molto nel mangiare,  
					
					solo una volta 
					al giorno acqua e pane  
					
					e spedire la 
					somma a chi rimane ». 
					  
					
					« Così mi 
					tratterei peggio di un cane,  
					
					non sono 
					avvezzo a fare il galeotto  
					
					e nemmeno il 
					digiun delle campane,  
					
					se ci vuole 
					andar lei faccia fagotto.  
					
					Se lavoro il 
					poder con le mie « mane »  
					
					son sicuro che 
					vinco un terno al lotto,  
					
					se l'abbandono 
					glielo dico in ghigna  
					
					come i ciuchi 
					si mangia la gramigna ». 
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					« Per me 
					sarebbe meglio aver la tigna,  
					
					potrei 
					guarir con medicine e bagni,  
					
					peggio tu 
					siei della febbre maligna,  
					
					aver 
					d'intorno te, mangia guadagni;  
					
					e se non 
					vuoi vangar, potar la vigna,  
					
					vattene 
					in pace, che Dio t'accompagni,  
					
					non ti do 
					nulla se la vuoi capire,  
					
					questi 
					beni per te non vo' finire ». 
					  
					
					« Neanch'io di 
					fame non voglio morire, venderò vacche, bovi ed altri 
					armenti,  
					
					con quelle 
					quattro o cinquemila lire  
					
					mi caverò la 
					ruggine dai denti,  
					
					così lo voglio 
					il portafoglio empire  
					
					di padroni, di 
					amici e di parenti  
					
					e così me la 
					passo la paura,  
					
					padrone a 
					rivederci, a battitura ». 
					  
					
					« Pasquino, tu 
					farai brutta figura,  
					
					senza di me non 
					vender bestie in fiera,  
					
					ti mando la 
					disdetta in iscrittura,  
					
					tu passerai da 
					ladro e va' in galera.  
					
					Portati bene e 
					un po' di vagliatura  
					
					te la prometto 
					in questa primavera,  
					
					e ti darò un 
					quintale di mulende  
					
					quando ni colmo 
					siei delle faccende ». 
					  
					
					« L'ho per 
					l'appunto lì dove m'intende,  
					
					queste proposte 
					a lei li fanno torto,  
					
					veramente di me 
					cura si prende,  
					
					vuol dar la 
					biada quando il ciuco è morto.  
					
					Dalla fame uno 
					cade e l'altro pende,  
					
					come anderà se 
					il grano non gli porto,  
					
					io dico: 
					aspetta lei cinque o sei mesi,  
					
					qualcun ci 
					troverà tutti distesi ». 
					  
					
					« Ma se i 
					quattrini non li avevi spesi  
					
					in sottovesta, 
					giubba e pantaloni,  
					
					con quelli 
					stivaletti da marchesi,  
					
					in cilindri, 
					catene e ciondoloni;  
					
					e poi con le 
					ragazze nei paesi  
					
					fai la coglia 
					alla barba dei padroni,  
					
					e chi fa i 
					gobbi per comparir belli,  
					
					stamperà più 
					lunari del Baccelli ». 
					  
					
					« Pensi, nel 
					mondo siam tutti fratelli:  
					
					ama più gli 
					animali dei cristiani,  
					
					che fa di dieci 
					gatti e quattro agnelli,  
					
					dieci cavalli e 
					venticinque cani,  
					
					tre gufi, dieci 
					gatti e cinque uccelli,  
					
					dame, spie, 
					scrocconi e mangia pani,  
					
					fra ministri, 
					ruffiani, cani e gatti  
					
					tiene in cucina 
					cento leccapiatti ». 
					  
					
					« Pasquino, 
					bada ben come mi tratti,  
					
					prima dei can 
					morranno i contadini,  
					
					così non tengo 
					tanti libri imbratti  
					
					e vado a caccia 
					e giro i miei confini.  
					
					Non ti 
					avvezzare a riguardar miei fatti,  
					
					mi frutta in 
					piano, costa ed Appennini:  
					
					benché peggio 
					di te porti la vesta,  
					
					degno sarei di 
					una corona in testa ».  | 
					
					 
					« Perché 
					dunque mi spoglia e mi molesta,  
					
					se 
					potesse anche il sangue me lo cava, quando viene a spartire 
					a me mi resta  
					
					un sacco, 
					due fagioli ed una fava.  
					
					Tutto mi 
					farò dare in pegno impresta,  
					
					così 
					esclamando chiuderò l'ottava,  
					
					addio 
					vestito, scarpe, addio oriolo,  
					
					addio 
					teglie e mezzine, addio paiolo ». 
					  
					
					« Tu canti bene 
					come un usignolo,  
					
					son tutti segni 
					a fantasia d'amore,  
					
					cerchi moglie 
					dall'uno all'altro polo  
					
					non toccherebbe 
					a te che sei il maggiore;  
					
					se prendi 
					moglie avrai più d'un figliolo,  
					
					o forse un 
					branco che metton terrore,  
					
					e poi gli 
					manderai con tante sporte  
					
					a consumar 
					battenti a queste porte ». 
					  
					
					« Ma se io 
					sposo l'Annina incontro sorte,  
					
					di una serva 
					gli è tocco la sua parte,  
					
					vigna, denaro e 
					di battaglia un forte  
					
					e vince un 
					punto al diavolo nell'arte; 
					
					ragiona, pare 
					un giudice di corte,  
					
					nel taglio 
					sfiderebbe mille sarte  
					
					e per 
					complimentare anche i padroni  
					
					la sa più lunga 
					lei di Panattoni ». 
					  
					
					« Se è vero 
					questo, più non si ragioni,  
					
					da me la 
					manderai sera e mattina,  
					
					farà pane, 
					bucato e maccheroni,  
					
					altre faccende 
					in camera e in cucina  
					
					e gli consegno 
					camicia e calzoni,  
					
					la dispensa, il 
					granaio e la cantina,  
					
					per te del vino 
					te ne do un barile  
					
					e i sacchi ti 
					empirò di gran gentile ». 
					  
					
					Pasquino parte 
					con parola umile,  
					
					sposa l'Annina 
					e sazia ogni appetito,  
					
					allegro come un 
					asino d'aprile  
					
					quando vede il 
					trafogliolo fiorito.  
					
					E l'Annina con 
					maniere femminili  
					
					serve prima il 
					padrone del marito,  
					
					qua e là, su e 
					giù lesta e sfrontata  
					
					si esporrebbe a 
					servire anche un'armata. 
					  
					
					Signori, questa 
					storia è terminata,  
					
					chi prende 
					moglie impari da Pasquino,  
					
					fra arte, vigna 
					e serva ebbe un'entrata  
					
					che non gli 
					mancò mai né pan né vino. Benché non ho studiato a tavolino
					 
					
					le mie scuse 
					farò come gli altr'anni:  
					
					sono Fantoni e 
					il mio nome è Giovanni.  |